A Pasqua, in Campania ma non solo, una delle preparazioni più in voga è quella del Casatiello. Ricetta tradizionale, che insieme al Tòrtano, non può mancare nelle tavole imbandite per la festa.

Perché si sa, che nella domenica di Pasqua si mangia riccamente e in abbondanza, apparecchiando ogni ben di Dio. In particolare, piatti che non lasciano spazio a diete di sorta.

Il casatiello è uno di questi, tanto che a Napoli quando una persona è particolarmente prolissa e pesante, si apostrofa con: “I’ che casatiello!”

Si merita il titolo di “Re dei rustici”, e con il tòrtano e la pastiera, fa parte della famiglia delle torte pasquali salate. Tòrtano e casatiello oggi sono preparati con lo stesso impasto: farina, lievito, acqua, sale, pepe, sugna, uova sode, salame, formaggio pecorino e cicoli di maiale.

Un tempo il tòrtano prevedeva una ricetta più semplice con meno ingredienti. Era considerato un alimento povero, quasi l’antenato del casatiello. Il suo impasto era preparato solo con farina, strutto pepe, uova sode e cicoli.

Il nome Casatiello deriva, prima dal latino “caseus”, e poi da “caso”, che in dialetto napoletano vuol dire formaggio. Infatti, è cospicua la quantità di pecorino contenuta al suo interno. Il termine Tòrtano, invece, potrebbe derivare dal latino tortilis (tortile), poiché il pane ha la forma di un cordone di pasta attoricigliato. Loyse de Rosa, cronista napoletano delle corti angioina e aragonese, nelle sue cronache dedicate alla città di Napoli, lo chiama “pane tuòrtane”.

Queste preparazioni sono ricche di simboli arcaici. Dal pecorino, derivato dal latte di pecora che nutriva gli agnelli sacrificali, ai cicoli che sono i residui della lavorazione del grasso del maiale, animale simbolo di fecondità e di benessere. Poi ci sono le uova, viste come semi primordiali racchiusi in un guscio che indicano la rinascita. Ed infine il pane, il cibo per eccellenza. Che è legato ad una forma di sostentamento essenziale e che poi, nell’ostia consacrata, è diventato il simbolo del corpo di Cristo.

Oltre agli stessi ingredienti, tòrtano e casatiello hanno in comune anche la forma a ciambella. L’impasto è lavorato a lungo, posto in un apposito stampo, e dopo la lievitazione, cotto nel forno. Secondo la tradizione, evoca la corona di spine di Gesù Cristo. Andando a tagliarla, prima di cibarsene, si vuole metaforicamente lenire la sua sofferenza dovuta al calvario.

Ma il casatiello ha qualcosa in più rispetto al tòrtano. Oltre ad avere le uova sode dentro l’impasto, ne contiene anche fino a cinque intere crude. Che vengono parzialmente affondate nella parte superiore della ciambella, e fermate da due striscioline di pasta a rappresentare la croce.

Durante la cottura nel forno, le uova diventano sode. E nonostante il guscio che le avvolge, prendono il sapore dell’impasto in cui si sono state immerse, che le rende particolarmente golose.

Nasce così il casatiello, ricco, dorato e appetitoso, perfetto simbolo della Pasqua partenopea, certificato da oltre cinque secoli di storia. Infatti, le tracce scritte di questa preparazione compaiono già agli inizi del ‘600.

Il Casatiello è consumato anche durante la gita fuoriporta di Pasquetta. Facile da trasportare e servire ai commensali, si può considerare un piatto unico, grazie alla presenza delle uova e alla ricchezza della farcitura.

Come per ogni ricetta tradizionale che si rispetti, esistono numerose varianti, non solo a livello ragionale, ma anche a livello locale e addirittura familiare. Oltre agli ingredienti base, c’è chi nell’impasto, gradisce anche altri salumi come il prosciutto cotto a dadini o la mortadella.

Quanto ai formaggi, è fondamentale l’abbondante presenza del pecorino romano. Ma spesso si aggiunge anche del parmigiano, o nel caso si voglia un risultato ancora più saporito del provolone piccante e della groviera.

Esiste anche una versione dolce del casatiello, diffusa soprattutto a Caserta e nell’area costiera vesuviana. Si prepara con farina, uova, zucchero, lievito, un pizzico di sale, sugna, o burro, latte, sambuca, vaniglia, cannella, e acqua di fiori d’arancio.

Come nella versione tradizionale si fa un impasto che si lascia lievitare tutta la notte in un contenitore coperto da un panno di lana. Al mattino si stende a sfoglia e si aggiungono gli ingredienti. Poi dopo averlo arrotolato dandogli la classica forma circolare, viene coperto da una glassa arricchita con scorze grattugiate di arancia e limone. E per finire, in superficie si sparge la mompariglia, dei confettini colorati che lo rendono particolarmente festoso e un’ottima alternativa alla colomba pasquale.

Abbiamo chiesto ad alcuni chef e professionisti del settore, di donarci le loro ricette.

Sara Sanna

Ho 49 anni e abito in Sardegna. Ho lavorato come tecnico del restauro archeologico prima, poi, come guida turistica e operatrice museale presso la "Fondazione Barumini Sistema Cultura" che si occupa della...

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