Lo storico locale della famiglia Silvestro rappresenta ormai una vera e propria istituzione in terra irpina, piatti di territorio ed eccellente carta dei vini.  

Una vera e propria epitome della declinazione moderna di un’osteria fine-dining, questa forse la definizione che maggiormente si attaglia all’Osteria del Gallo e della Volpe.

LA STORIA DEL LOCALE

Tradizionale ristorante della famiglia Silvestro, aperto dal 1996, come naturale evoluzione ed ideale propaggine della contigua enoteca – tutt’ora aperta al pubblico su appuntamento negli orari di apertura del ristorante – gestita con passione avita e dedizione da Antonio Silvestro, sommelier e padre dell’attuale chef Davide.

Dieci anni dall’intrapresa, e per il talentuoso Davide soggiunge, terminata la gavetta e sotto l’egida dell’indispensabile madre Filomena detta Marisa – di origini romane, riversate puntualmente nelle proprie ricette – il momento dell’avocazione a sé della gestione della cucina come chef executive.

Trentadue anni, un passato e studi da elettrotecnico, discriminante il prestigioso tirocinio effettuato da quel nume della gastronomia italiana che risponde al nome di Igles Corelli, una creatività temperata in nome di una valorizzazione incondizionata dei prodotti autoctoni.

L’IDENTITA’ ATTUALE

Imperativo guida, dunque, quello di evitare qualsiasi tipo di soccombenza in nome del fine-dining, applicando un chilometro zero “ragionato”, con una valorizzazione degli elementi confluenti della convivialità ed ospitalità, obiettivo ultimo l’emersione, nelle preparazioni, dell’identità territoriale di luoghi unici al mondo.

Molti i riconoscimenti di settore, partendo dalla chiocciola slow food, passando dalla segnalazione in guida Michelin sino alla recente riconferma della menzione Bib Gourmand, che come sappiamo è il riconoscimento assegnato, nella prestigiosa guida, ai ristoranti con il migliore rapporto qualità prezzo.

Palesi le influenze nella cucina di Davide, dalla cucina asiatica a quella francese – punto di riferimento imprescindibile per l’haute cousine, come ammette il nostro chef – sorta di variazioni ragionate di ricette della tradizione irpina, con degli elementi che “li possano rifinire in termini di gusto, mantenendone inalterata la filosofia fondante”, non proponendo nessun menu degustazione, atteso il costo medio delle singole portate e la continua variazione delle preparazioni.

LA DEGUSTAZIONE

Passando alla degustazione, iniziamo dal tris di zuppe gourmet, “zuppa di patate, cipolle e papaccelle”, trippa e centopelli di vitellone alla romana – mamma Marisa docet – ed infine zuppa di castagne e porcini, notabile la consistenza degli ingredienti, in una sinfonia di sapori tradizionali di territorio.

Una proposta gastronomica flessibile e poliedrica, dunque, sorretta da un lavoro di sperimentazione “temperata” e di revisione ragionata dei canoni, come lucidamente riaffermato dai due primi, “bottoni di maremmana con caciocavallo podolico”, e “vermicello ad archetto con frutta secca, acciughe del Cantabrico e tartufo bianco”, pasta rigorosamente tirata a mano, sapida e callosa.

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Si prosegue con la teoria di secondi, dove emerge nitidamente il talento cosmopolita dello chef Davide, “petto d’anatra con riduzione di Medjoul e riduzione di mirto” e “faraona ripiena cotta a bassa temperatura, laccata con senape di Digione e salsa di finocchio bruciato”, evidenti prestiti culturali e metodologici dalla cucina d’oltralpe, con una notevole giustapposizione fra spinte acide, vegetali e salate.

Una menzione a parte per i pani artigianali, grissini e con l’utilizzo di lievito madre e farine ai grani antichi, accompagnata da olio evo monocultivar ravece prodotto dall’azienda agricola Francesco Pepe, sapido e dalla deliziosa spinta vegetale.

In pairing e progressione enologica curata dal sig. Antonio – ricordiamo la sua primogenitura della prima carta dei vini interamente vergata a mano, in un ristorante negli anni novanta, con oltre settecento referenze disponibili – iniziamo con il vino spumante di qualità Sarno 1860 pas dosè dell’omonima azienda agricola irpina, è il turno del “Sassafrass” I.G.T. Campania Greco 2021 dell’azienda Casa Brecceto di Ariano Irpino, nessuna filtrazione e macerazione sulle bucce per un raffinato vino naturale.

Si prosegue con il Barbera D’Asti D.O.C.G. 2020 Principio dell’Azienda Agricola Francesco Iandolo, irpino trapiantato in Piemonte, seguito dal Campi Taurasini 2017 D.O.C. Vittoria dell’azienda Agricola Cresta Michele, tannino levigato e dalla straordinaria consistenza olfattiva.

Sul dessert, infine, è la volta del vino bianco dolce Mel 2020 delle cantine Antonio Caggiano, delizioso blend di Fiano e Greco da vendemmia tardiva, concludendo con il Calvados “Chateau Du Breuil” della Normandia, davvero maestro, degno epilogo di una degustazione straordinaria.

Carlo Straface

Carlo Straface, partenopeo di nascita, corso di studi in giurisprudenza, di professione avvocato e giornalista pubblicista, eno-gastronomia e letteratura le sue coordinate di riferimento. Sommelier di...

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