La Scuola Dolce&Salato nasce 20 anni fa, nel lontano 1998, dalla passione di 2 esperti Chef, rispettivamente di cucina e pasticceria: Giuseppe Daddio e Aniello di Caprio.
La Scuola è riconosciuta dalla Regione Campania ed accreditata per il rilascio di Qualifiche E.Q.F. come “Cuoco”, “Pasticciere” e “ Pizzaiolo”, Operatore di sala e bar e panificatore, valide in ambito Europeo, opera nel settore Ho.re.ca per la formazione professionale dei suoi discenti.
Le conoscenze teorico-pratiche acquisite durante tali percorsi formativi, permetteranno a ciascun allievo di essere inserito direttamente nel mondo del lavoro. Al termine della formazione in sede sono previsti degli stage trimestrali curriculari ed extra, sia in Italia che all’estero , stipulati dalla scuola con rinomate strutture alberghiere, ristoranti stellati o grandi laboratori dolciari; esperienze che permettono di crescere ed affermarsi professionalmente, potendo così ambire all’apertura di proprie attività o a ricoprire ruoli importanti nelle strutture accoglienti, come già precedentemente accaduto con allievi già qualificati.
Abbiamo intervistato lo chef Giuseppe Daddio
Come nasce l’idea di creare una scuola di cucina?
Nasce dalla considerazione di un vuoto che doveva essere colmato. Siamo nati 20 anni fa dalla collaborazione tra Aniello di Caprio ed il sottoscritto, un pasticciere ed un cuoco che mettono a disposizione il loro know-how dando la possibilità ai discenti della ”Dolce e Salato” di trovare uno sbocco lavorativo. Tuttavia non ci siamo basati solo sulle nostre competenze e conoscenze, infatti collaboriamo con continuità con i “grandi maestri” per i corsi di specializzazione che noi definiamo “Monografie”. La scuola è molto attenta non solo ai trend di mercato ma nel selezionare dei nomi capaci di portare avanti la filosofia dei fornelli ma anche capaci di far capire che la cucina è qualcosa di oggettivo /concreto che deve diventare un’impresa del food e non solo una sorta di piacere personale del cuoco.
Come create i percorsi formativi e le vostre Monografie?
Il nostro percorso è articolato da una programmazione fatta di capitoli ed attività propedeutiche. Si parte dalla cucina di base che io definisco “Disciplina gastronomica” che è una materia che insegnerò da ottobre alla nuova sede di Gastronomia a Portici che è un comparto dell’Agraria, dove tutti i settori devono beneficiare di una disciplina che è fatta di metodi, di procedure ,che rappresentano per me la salvezza di un’azienda e che possono essere replicate nel comparto del food, che sono una garanzia per il cuoco all’interno di una brigata. Nelle cucine c’è bisogno di un atteggiamento quasi militare dove il rigore e l’attenzione sono alla base per far si che tutto sia sincronizzato e che il servizio possa procedere regolarmente.
La scuola è accreditata presso la Regione Campania e ciò ci consente di elargire alla fine del percorso professionale una qualifica per i discenti che è riconosciuto in tutta Europa un titolo spendibile.
In line generale i percorsi lunghi sono per i neofiti della cucina mentre le Monografie che hanno come docenti i grandi nomi della cucina italiana ed una durata che va da 2/3 giorni sino ad una max di 1 settimana sono dedicati a cuochi già esperti.
Quali sono i corsi ad oggi in essere?
La scuola ”Dolce e Salato” vive tutti i giorni con diversi laboratori, con il percorso della pizza, la Pasticceria, la Cucina che è il fulcro della scuola ed infine Operatore di sala, ed il percorso dedicato all’attività del bar, infine l’ultimo nato è il percorso del Panettiere.
Sicuramente il corso dedicato alla pizza sta riscuotendo un notevole successo, in tal caso vorrei ricordare che il mio amico Franco Pepe ha appena fatto il primo matrimonio in Italia, per due novelli sposi francesi, in una pizzeria, un evento che sino a qualche anno fa era impensabile.
Che tipo di corsi di pasticceria sviluppate, pasticceria classica o cake design?
Credo che il cake design sia morto e seppellito, oggi si parla di pasticceria specchiata, monoporzioni, pasticceria dei glassaggi. Noi siamo italiani e siamo un popolo che mangia con il palato, che porta con se i sapori della nocciola, del caffè, del pistacchio, degli agrumi, siamo un popolo che vive di gusti decisi. Oggi il connubio tra pasticceria di tecnica francese e di gusto internazionale rappresenta un riferimento anche per la pasticceria italiana in quanto ha aiutato a capire che il dolce non deve essere stucchevole e che deve essere povero di zucchero con una percentuale inferiore al 40%) in quanto il dolce viene mangiato a fine pasto.
Le vostre monografie sono tenute da grandi chef, che rapporto si è instaurato con loro?
La nostra è stata una missione in ascesa, siamo partiti da grandi come la famiglia Cerea, i proprietari del marchio “Da Vittorio Srl”, con Pippo Cerea abbiamo instaurato un rapporto di cordialità. L’obiettivo è quello di avere collaborazioni con persone che sappiano avere quel “quid” che è alla basa della filosofia della scuola, ciò trasmettere quei valori quali l’umiltà lo spirito di sacrificio e quale la differenza tra dare e trasmettere, il cuoco che sale in cattedra per trasmettere ai discenti e non può farlo solo spiegando quello che cucina ma tirando fuori la vera passione, i grandi cuoci sono quelli che hanno qualcosa da raccontare fuori dal piatto.
Ci sono anche dei corsi manageriali, con quale obiettivo?
Facciamo un corso volto alla start-up ristorativa per coloro che sono interessati ad investire in questo settore, cercando di fornire a questi futuri manager degli strumenti per poter gestire un locale ed avere il controllo quotidiano della gestione delle singole attività presenti in un locale. L’obiettivo è quindi di insegnare metodi e procedure che possano poi aiutarli nella quotidianità gestionale.
La cucina è un mix di materie prime, tecnica e passione, secondo te come e qual è il peso di ognuno?
Se viene rispettata la ricetta il piatto viene fuori in maniera perfetta, la cucina secondo me è fatta da un 70% di materie prime, da 15% di talento/passione e 15% tecnica.
Passiamo alla tua storia personale, come ti sei avvicinato alla cucina?
Vengo da una famiglia contadina e sono cresciuto da un ambiente rurale e proprio per scappare da tale realtà ho iniziato a fare il cuoco, la prima vacanza l’ho fatto girando e mi sono reso conto che la cucina è vita e chi vuole vivere facendo il cuoco ha la capacità di imparare e di sprovincializzarsi dalla sua matrice culturale. Ho avuto la possibilità di lavorare in grandi alberghi metropolitani con grandi cuochi e brigate ma alla fine sono tornato nella mia terra. La vita di un cuoco è caratterizzata da un grande spirito di sacrificio e forse proprio le mie origini “contadine” mi hanno dato qeui “muscoli” che mi hanno permesso di buttare il cuore oltre l’ostacolo, poi la passione ha fatto il resto.
Ho iniziato facendo l’alberghiero e poi mi sono iscritto ad Economia e Gestione dei Servizi turistici che mi hanno fatto capire che uno Chef deve avere 3 caratteristiche: professionalità, contemporaneità e managerialità, se viene a mancare una di queste tre caratteristiche non sei uno chef ma bensì un cuoco, si è cuoco quando si sta ai fornelli, chef quando si sta in cucina perché la cucina è un settore da gestire.
Hai scritto anche due libri di successo ce ne parli?
Il RICETT´ISS premiato al Book Howard di Parigi ed al Salone del Libro, nel 2016 è uscito “Dieta Mediterranea” a 4 mani con il prof. Giorgio Calabrese che ha affermato :”Peppe Daddio è uno che dà del tu al cibo”, affermazione di cui ne vado particolarmente fiero perchè ha riconosciuto in me quella padronanza e quella dedizione al cibo e a chi lo manipola.
In Campania ci sono 33 stelle Michelin, dietro Piemonte, Lombardia e Lazio, secondo te perché?
La zona tra Amalfi e Sorrento è molto apprezzata, è sicuramente quella con maggior tasso di “stelle”, ha un capofila come Don Alfonso anche se non è stata mai un gourmet di forte esasperazione che ha puntato di più sulla semplicità. Ma ci sono dei “buchi” nella regione Campania, alcune province hanno delle difficoltà ad affermarsi forse legate alla poca conoscenza di carattere turistico. Forse il vero problema è la mancanza di buone trattorie che in Francia chiamano bistrot che riescono a conquistare l’ambita stella, vorrei cioè vedere lo chef vestito da oste e diventare un po’ “ingegnere rurale” quindi essere dei manager ma con il gusto radicato sul territorio, mettendo un pò da parte la tecnica che esaspera il prodotto!
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
La scuola ha da poco compiuto 20 anni ma ancora c’è molto da fare, una realtà che è tra le prime in Italia e sicuramente la prima nel Mezzogiorno. La soddisfazione principale è vedere molti dei nostri alunni lavorare in grandi ristoranti o strutture ricettive, ma per noi è arrivato il momento di dare una svolta in questo settore, vogliamo ancor più creare i cuochi del futuro secondo il vero rinnovo generazionale, spostando la scuola in uno dei monumenti più importanti al mondo vicino proprio a Maddaloni e dare la possibilità agli allievi di lavorare in cucine che diventano laboratori e facendo capire ai turisti che vengono in visita che cos’è il made in Italy.