Tradizione territoriale in risalto nell’offerta eno-gastronomica del ristorante Re Santi e Leoni, ubicato nell’agro-nolano in un palazzo nobiliare di fine Ottocento, con una affiatata brigata di cucina e sala.
Il simbolo è la vista prospettica di una corona, come a suggerire che le angolazioni, nella vita come nella nobiltà, determinano significati e rispondenze.
L’iconografia di Re Santi e Leoni, il ristorante dell’imprenditore Lucio Giordano, che ne ha affidato la gestione allo chef Luigi Salomone – già stella Michelin sin dal primo anno di apertura, il 2020 – è, come suggerisce il nome, in realtà più complessa e stratificata, ad inferire dall’enorme stampa – posizionata in corrispondenza dell’ingresso – che raffigura immagini archetipiche religiose di santi, insieme a delle piccole statue rappresentanti dei leoni, viatico della sala immediatamente seguente del lounge bar, dove magari sorseggiare un cocktail in attesa della seduta.
L’ambizioso progetto di ristrutturazione è stato curato dall’architetto Giuliano Andrea dell’Uva, dando ampio risalto alla profondità prospettica, nel triplice segno della riconversione, del riallestimento e del restauro. Effettivamente, sono chiare le influenze della leggendaria designer Gae Aulenti – esplicitate nelle lampade dalla medesima disegnate – esponente della corrente del movimento neoliberty, dove colori chiari, alluminio e geometrie definiscono il locale, con degli archi in pietra tufacea lasciati inalterati, a rappresentare il retaggio storico dell’edificio.
Ci accomodiamo, in una rovente pausa pranzo di un’estate segnata ancora dall’incertezza sugli sviluppi della pandemia sanitaria, evidenziando immediatamente il numero di coperti limitato – circa quaranta – per un’agguerrita e sinergica brigata di sala, capitanata dalla nostra vecchia conoscenza Luigi Salomone: pluripremiato dalle guide di settore – per inciso più giovane stella Michelin regionale della storia – nel corso della sua esperienza precedente al ristorante “Piazzetta Milù” della famiglia Izzo in Castellamare, è coadiuvato dal talentuoso sommelier Michele Beneduce e dalla maitre, nonché restaurant manager, Silvana Di Domenico, oltre che dall’inseparabile sous-chef Vincenzo Oliva, al suo fianco da più di otto anni.
La territorialità è la chiave di volta per comprendere appieno la cucina di Salomone, la reperibilità delle materie prime è la premessa fondamentale della creazione di un piatto, nulla è lasciato al caso, in un gioco di sapori in cui l’incisività gustativa del singolo elemento deve essere restituita al cliente in modo reciso.
La proposta gastronomica, valida sia per il pranzo che per la cena, è composta da tre menu degustazione, che mutuano il rispettivo nome da quello del locale, “re”, “santi” e “leoni”, variando in base al numero di portate, quattro, sei, e non definite per l’ultima opzione, sulla base di estro ed improvvisazione, stella polare la riconoscibilità del singolo elemento.
Interessante ed eterodossa la carta delle acque, la possibilità di selezione di caviali, tartare e gran crudo, in base al pescato del giorno, oltre all’offerta di un “business lunch” ad un prezzo ridotto, composto da due portate, piccola pasticceria, acqua e calice di vino ad un prezzo ridotto, sulla scorta della consapevolezza che promuovere la cultura del fine-dining significa renderla accessibile anche a dei clienti più estemporanei dal pubblico di riferimento usuale.
Iniziando l’estesa degustazione, ad avviso dello scrivente sugli antipasti si sviluppa l’estro creativo dello chef, partito dai primordi della macelleria di famiglia, per approdare alle seduzioni delle influenze Mediterranee, con una palese predilezione per il pesce.
Dunque, dopo avere assaggiato la selezione di caviale, proposto con panna acida e babà rustico, sorprende la nota vegetale e la cottura della materia prima nello “sgombro, mela verde, cetrioli, sedano e alghe”, le raffinate note agrodolci della “frisella, gambero, musetto ed anguria”, per chiudere il debito di riconoscenza con i propri esordi, “manzo tataki, paglia e melenzane”.
Si prosegue con il tris di primi che non mostrano alcun cedimento, e qui sono persuaso completamente dalla concreta solidità della tecnica di Salomone, saldamente ancorata alle proprie radici: non avrei remore a definire signature dishes sia la “tagliatella al caffè con gamberi agrumi”, che il “risotto, mozzarella, acciughe, limone e tartufo estivo”, terminando con il mio eletto, sin dai tempi della precedente stella conseguita, “fusilloni Pastificio dei Campi, scampi, nocciola e Lemongrass”, una bisque davvero di una sapidità unica con l’utilizzo di un ingrediente caro allo chef per motivi affettivi e sentimentali, la nocciola avellana.
Come secondo, incisivo il “filetto, indivia, lamponi e campari”, che gioca su nuance aromatiche, chiudendo con la piccola pasticceria – che delizia il “winner taco”, omaggio al prodotto mainstream – proposto con albicocca, caramello ed arachidi, e la delizia al limone con parfait d’essenza, anguria e te matcha.
Eclettico ma rigoroso il pairing con i vini elaborati dal sommelier Beneduce, bollicine in evidenza sugli antipasti, “Abate Nero Domini Nero Trentodoc 2014” brut millesimato da Pinot Noir, seguito dall’outsider “Cuveé 60 Nature Brut” di Casa Caterina, seimila bottiglie per un prodotto di grande longevità fuoriuscente dal disciplinare del Franciacorta. Interessante il successivo Catarratto Terre Siciliane I.G.T. 2019 dell’azienda Agricola Barraco, ed è un vero e proprio colpo di genio l’abbinamento del fuoriclasse “Vecchio Samperi Perpetuo” di Marco De Bartoli sulla bisque di scampi, davvero un tripudio di sapori al palato.
Tannino elegante in evidenza per il prodotto d’oltralpe “Argile Rouge 2018 di Domaine des Ardoisieres”, concludendo con il Merlot del Collio “Edi Keber 2016”, lunga macerazione e fermentazione in vasche di cemento, con affinamento in botti di legno per 18 mesi, perfetto contrappunto al filetto con l’indivia, e infine con il Jerez Pedro Ximenez Tradicion di Bodegas e Tradicion, proposto con grande esperienza sui dessert.
Prima del congedo, una visita con il sommelier Beneduce nella splendida cantina, raggiungibile con un piccolo ascensore poiché ricavata al piano sottoposto: pareti in tufo ed un soffitto a volta alto circa sei metri, temperatura costante e umidità controllata per oltre seicento referenze disponibili.