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Una cucina apparentemente semplice quella di Niko Romito, chef e proprietario del ristorante Reale a Castel di Sangro, in Abruzzo. I suoi sono piatti caratterizzati da uno stile essenziale, pulitissimo, ma che nascondono un lungo percorso di studio e di amore per la materia prima. Ed è la sua cucina, inserita in un complesso organismo che consente allo chef di essere alla portata di tutti, ad essere il punto di congiunzione tra lui e il resto del mondo, un universo fatto di collaboratori, clienti e cuochi. In vetta alla classifica del Gambero Rosso, con Tre Forchette e 96 centesimi, nell’Olimpo dei tristellati, lo chef è stato intervistato da Marzio Taccetti, allievo del Master in Giornalismo Comunicazione e Critica Enogastronomica del Gambero Rosso come prova del corso.

Il Gambero Rosso, da quest’anno, premia con un maggior punteggio la sala. Che ruolo ha avuto nel successo del suo ristorante? Secondo lei, il personale di sala è una parte fondamentale di un ristorante?

La sala ha un ruolo fondamentale, decisivo e rappresentativo. Proprio perché rappresenta tutto il lavoro che c’è dietro in un ristorante. Ad oggi, forse, cucina e sala hanno lo stesso peso. Infatti, il linguaggio di sala deve essere coerente con il linguaggio di cucina e penso che Cristiana (sorella di Niko Romito e a capo della sala del servizio in sala del Reale ndr.) in tutti questi anni abbia fatto un lavoro magistrale.

In che modo?

Noi stiamo cercando di portare avanti un modello di accoglienza più informale, ma questo non vuol dire meno professionale, anzi. L’informalità legata alla professionalità vuol dire avere una maggior capacità di capire chi hai di fronte, come accogliere il cliente e sopratutto, molto importante, come farlo sentire a casa facendolo entrare nel tuo mondo per condividere tutto quello che gira intorno alla tua cucina.

Nei suoi piatti, oggi, si ritrova una grande complessità sia dal punto di vista di tecniche di cotture, sia come esperienza gustativa, frutto di un lungo percorso di studio e ricerca. Ai suoi esordi, quali sono state le persone o le esperienze che più l’hanno ispirata?

Tante cose mi hanno ispirato: tante persone, tante letture, tanto studio, tante cene fatte fuori nei ristoranti, nelle osterie, nelle trattorie. Sopratutto, quando sei giovane, sei come una spugna e cerchi di osservare e ispirarti a tutto quello che ti circonda, cerchi di prendere degli spunti, di fare delle riflessioni che servono per scrivere una propria strada, un proprio percorso.

Nella sua Accademia Niko Romito, come fa a insegnare a non rimanere prigionieri della tradizione e, nello stesso tempo, innovarla senza tradirla?

Innanzitutto bisogna conoscerla, la tradizione. Nella mia scuola è la prima cosa che s’insegna. Però, per conoscere quella della cucina italiana non serve solo la scuola, ma serve tanto lavoro, tanta pratica. Quando si arriva a conoscere la tradizione italiana, poi, è impossibile tradirla: perché come si fa a tradire qualcosa che fa crescere il nostro sistema gastronomico? Una volta che la si conosce bene e si ha la responsabilità di conservare quello che c’è stato, non si può tradirla, ma si può solo migliorarla.

Articolo originale www.gamberorosso.it

Redazione Foodmakers

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