Morti, streghe, ossa e vermi
Carrellata curiosa nella tradizione enogastronomica italiana ai tempi di Halloween
Il Dente di Morto e altre orride creazioni
“Il fagiolo è buonissimo ma come si può chiamare un prodotto che si mangia ‘dente di morto’?”.

Certamente è curioso ma nella odierna giornata di Halloween, con la nostrana festività dei morti alle porte, mi ha fatto riflettere l’osservazione sorprendente dello chef Mario Avallone, il Kuoko Mercante di Napoli, che recentemente ha condiviso la pasta e fagioli preparata dalla Condotta Slow Food Napoli a La tenda per il primo Mercato della Terra Slow Food del più grande Centro per senza dimora di Napoli.

Il fagiolo in questione è il Dente di Morto di Acerra, la cui produzione è valsa a Luigi Turboli, insieme a quella della Papacella napoletana, un premio per Contadino dell’Anno alla recentissima Eruzioni del Gusto di Portici, insieme ad altri.
“Bianco, opaco, un pò giallino, lungo e leggermente convesso. Il fagiolo dente di Morto è coltivato senza uso della chimica e delizioso, ma ha proprio l’aspetto di un dente!”, mi raccontaTurboli.
Il dettaglio tecnico su questo fagiolo Presidio Slow Food, suona anche peggio perché si dice che “ha forma cilindrica-sub-reniforme”, cioè “leggermente a forma di rene”.

Che uno sperimentatore protagonista della cucina napoletana, che, ha ribattezzato in maniera dissacrante (e spesso illuminante e spassosa) prodotti e modi dello stare a tavola, come Avallone, si “scandalizzasse” per “il dente di morto”, mi ha fatto riflettere, sul fatto che per quanto smaliziati sui fatti della vita, ciascuno di nomi ha una certa “discontinuità”, un “sussulto”, a sentire pronunciare la parola “morte”. Eppure della morte, del mostruoso, del mistero, delle anime, del sangue, Halloween, che oggi si festeggia (con buona pace di chi dice che è “culto pagano e consumistico che non ci appartiene”), ha fatto il suo successo.
E ho pensato a ricostruire a un elenco di cibi dal nome orrido per sconfiggere la paura. Oggi, si: a Halloween.
A memoria mi è venuto in mente subito il “Brutto contadino” (ndr: invero il “Brut contadino” della azienda Picariello), uno “spumantino” che gioca con il concetto di “brutto, povero, contadino”, ironicamente.
Parlando di dettagli anatomici – oltre Lingue, Cervello, Zampe e Culatello – la tradizione gastronomica italiana, coadiuvata da fantasia, spara “Palle di mulo” che sono dolci tipici di alcune zone del Sud Italia. Stessi attributi per i “Coglioni di prete” o anche, insospettabilmente, “di Monaca”.
Hai detto Strega?
Abbondano, dunque, nomi irriverenti, umoristici o macabri, nella trazione popolare e tra i prodotti agroalimentari italiani. Nel 1870, la famiglia Alberti rompe un incantesimo che anche solo “nominare” pareva, nel Sannio, difficile:chiama il suo liquore giallo brillante “Strega”. Di più: chiama con questo nome la intera ditta con sede a Benevento “tanto che qualcuno pensa ancora che ci chiamiamo Strega e non Alberti” racconta l’ingegnere GIuseppe D’Avino, a capo della ditta che gli proviene per lato di madre.
Nessuno ha osato tanto nel marketing dell’agroalimentare. Sarà questione di superstizione ma la parola “strega” (a differenza di “morto” e “ossa”), non è utilizzata così a cuor leggero, se non nelle imitazioni del suddetto marchio documentate nel Museo aziendale della famiglia iniziatrice del noto Premio Letterario.

Ma forse (ndr: visto che recentemente gli ho fatto visita), come raccontano gli antropologi Elena Scarinzi e Mario De Tommasi del Museo Janua, basterebbe far un gesto per allontanare il maleficio: “incrociare i piedi nel nominarle, perché le ‘Janare’ non si sentano chiamate e si materializzino”.
Di fagiolo in pianto
Forse non c’entra con il dente di morto summenzionato, ma in molte regioni d’Italia è tradizione (e proviene dalle case più umili)mangiare zuppe a base di legumi (ceci, fave, fagioli) il giorno della commemorazione dei defunti. Diremmo: “per accrescere la allegria!”.
Non meno dei legumi, i formaggi sono fonte di ispirazione “mostruosa”. Il Casu marzu sardo alto non è che un “cacio marcio”, con tanto di vermi. E’ seppellito, stagionato sottoterra, in fosse, invece, il Formaggio di fossa romagnolo o marchigiano. Suona sinistro pure la “tuma perduta”, un formaggio riscoperto dopo anni.
La parola morto è ovviamente ricorrente. Ossa dei morti sono biscotti che si mangiano proprio a Ognissanti soprattutto in Sicilia. Ma ci sono la Pasta, la Zuppa, le Frittelle, il Pane, le Fave e le Dita che evocano la fine dei giorni e la nuova vita.
Voglia di “strozzare” per gli Strangozzi umbri e gli Strozzapreti piuttosto anticlericali. Meno terrificanti, quasi carnacialeschi sono nomi come “Brutti ma buoni”, piemontesi e lombardi,“Bastardo del Grappa”, veneto, che “passiamo” come ironico e Lacrima del Morro d’Alba dal sapore un pò Pierrot ma non certo allegro che tuttavia si spiga perché l’uva di questa varietà tipica delle colline marchigiane, tra Jesi e Senigallia per carpirci, tende a spaccarsi leggermente e a “piangere” gocce di succo.
