A quasi cinque anni dalla presentazione del progetto, Fico-Fabbrica italiana contadina, apre al pubblico. Il più grande parco agroalimentare al mondo viene inaugurato ufficialmente oggi dal premier Paolo Gentiloni, atteso a Bologna per tagliare il nastro di una scommessa costata 140 milioni di euro.

La prima impressione, tra i 700 giornalisti che la scorsa settimana hanno visitato in anteprima la Disneyworld del cibo, è che l’anima commerciale abbia avuto la meglio su quella educativa, principale critica (assieme alle polemiche per i due anni di ritardo) mossa alla mega struttura che ambisce a richiamare 6 milioni di visitatori l’anno, immaginata e voluta dall’economista agronomo Andrea Segrè, inventore di Last Minute Market, e accelerata dall’entrata in scena del patron di Eataly, Oscar Farinetti. L’ingresso è gratuito come in un grande centro commerciale, e si paga per tutto ciò che si fa o si acquista all’interno. Dalle degustazioni, ai corsi nelle fabbriche per imparare i processi di lavorazione di olio, vino, formaggi, salumi, pasta (costo 20 euro la lezione, si arriva a 65 euro per un giorno di full immersion alla Gelato University di Carpigiani) fino ai laboratori dedicati ai bambini nell’AgriBottega (ce ne sono cinque in programma ogni giorno, altri 20 euro l’iscrizione).

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Oltre 100mila metri quadrati, progettati dall’architetto Thomas Bartoli, che hanno aperto al pubblico il 15 novembre alle ore 15. Uno spazio interamente dedicato alla biodiversità e all’arte della trasformazione del cibo italiano. Là dove un tempo c’era l’ex-mercato ortofrutticolo di Bologna. Città scelta non a caso in quanto simbolo nazionale del mangiare tanto e bene.

I numeri del progetto erano impressionanti e lo restano anche nella realizzazione in via di inaugurazione. 10 ettari, di cui 8 al coperto. 150 aziende coinvolte (quasi tutte già fornitrici di Eataly o di Coop), 700 posti di lavoro più l’indotto, 40 fabbriche che altro non sono che luoghi in cui le aziende non solo vendono e somministrano ma anche producono con impianti veri e propri (Baladin ha realizzato qui un birrificio, Granarolo fa qui la mozzarella e via dicendo), 6 aule didattiche, 6 giostre educative a tema, un centro congressi da 1000 posti, 47 punti di ristoro (alcuni dentro le fabbriche, altri indipendenti, alcuni di street food, alcuni di ristorazione tradizionali, alcuni addirittura di alta ristorazione gastronomica firmato da Enrico Bartolini), il mercato, le botteghe, il bazar, 200 capi di bestiame negli allevamenti circostanti, 2000 cultivar negli appezzamenti dimostrativi.

La fabbrica dell’olio del Frantoio Roi ha all’esterno una aiuola con alcune varietà di ulivi. E così via. Il sistema delle fabbriche è ancor più interessante non tanto perché permette alle aziende di fare formazione ai clienti (questo aspetto è anzi quello più controverso e ne parleremo dopo), quanto perché è ideale come banco di prova per nuovi prodotti.

Se dobbiamo lanciare sul mercato qualche nuovo formato di pasta” ci spiega Giuseppe Di Martino che qui ha store e ristorante ma soprattutto un pastificio di tutto rispetto “prima lo facciamo debuttare qui, vediamo come reagisce il pubblico e poi andiamo sulla massa”. Sostanzialmente insomma il sistema delle fabbriche consente alle aziende e ai brand di spostare in un luogo condiviso, assieme a tanti altri colleghi che fanno lo stesso, il tradizionale centro di formazione, dimostrazione & ricerca aziendale dove tradizionalmente le aziende più illuminate e aperte accolgono clienti, turisti, scolaresche, distributori. Oggi lo si può fare in un luogo accentrato, al cospetto di milioni di contatti all’anno. C’è da dire che le fabbriche sono proprio… fabbriche. C’è davvero molto poco di “contadino”, nel senso più retorico del termine, in un grande pastificio come quello di Di Martino, in una significativa centrale del latte come quella di Granarolo o nel laboratorio di pasticceria iper robotizzato come quello di Balocco… Chiamarle “Fabbriche contadine”, perché? Non basta allestire un pollaio e una porcilaia (tutti dimostrativi, mai operativi realmente) per definirsi “contadini”. Ma un progetto così sconfinato ha fisiologicamente elementi fuorvianti, questo è uno e ne vedremo altri in seguito.

Eataly e Coop hanno concepito il progetto di retail shop sul food più innovativo del mondo che permette di dare reali risposte all’attuale crisi del retail. Ma Fico Eataly World non è solo buon cibo, promozione del Made in Italy, della biodiversità, rispetto della sostenibilità. È anche formazione. Esiste infatti la possibilità di frequentare corsi (a pagamento) e imparare direttamente dagli artigiani e dai guru del settore come produrre uno yogurt naturale, fare la pasta, apprendere metodi e tecniche necessari per la trasformazione degli ingredienti.

Formazione però significa anche educazione e

non ha dimenticato i bambini: 6 piccoli padiglioni hanno un carattere prettamente didattico e spiegano ai più piccoli tutte quelle tappe che dagli albori ad oggi hanno di fatto consolidato un grande patrimonio italiano, quello del cibo.

Com’è noto, le realtà più attente del nostro Paese sono attualmente impegnate nella riduzione degli sprechi alimentari, a fronte di una situazione drammatica che ci spiega come nei prossimi decenni la popolazione mondiale aumenterà vertiginosamente e bisognerà fare i conti con l’enorme problema di sfamare tutti.

Luigi Cristiani

Laureato in Economia, ha poi conseguito un MBA presso lo Stoà. Lavora in Enel Green Power dove si occupa di pianificazione e controllo . Dal 2010 scrive su diversi blog di economia e finanza (Il Denaro,...

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