Un’intervista/chiacchierata tra una pizza ed un caffè.

Figlio di immigrati italiani che nel dopoguerra partirono dalla ciociaria per trasferirsi nell’est della Francia, Bruno Colucci nasce e cresce a Parigi, negli anni in cui il made in Italy era sinonimo di cattiva qualità, ma non per lui, animato da sempre da un orgoglio italiano che lo accompagnerà lungo tutta la sua carriera.

Da un trentennio è former dirigente, direttore acquisti, logistica e marketing per l’azienda francese Carniato Europe che si occupa dell’import e distribuzione di prodotti italiani “di qualità” in Francia. Dettaglio non trascurabile, quello della qualità, su cui si basa tutta la ricerca e passione di Bruno Colucci e che tiene particolarmente a specificare. Sotto il suo impulso la società è cresciuta al punto di diventare il maggiore importatore e distributore di prodotti enogastronomici italiani in Francia, permettendo già 15 anni fa l’arrivo sul mercato francese di prodotti di nicchia a marchio DOP e IGP. La strategia “pacchetto Italia eccellente” è stata una missione quasi ambiziosa se pensiamo a quanto sia già forte la cultura enogastronomica francese e proprio per questo è considerato come il mercato più difficile. Agli italiani Bruno rimprovera il modo di fare poco consapevole, il voler arrancare invece di primeggiare, la poca attitudine a rivalutare quel patrimonio italiano fatto di territorio e beni culturali e dieta mediterranea. Da sempre, da italiano che guarda l’Italia dall’oltralpe, vede questo enorme potenziale sprecato e non riconosciuto, cresce e si forma inseguendo l’obiettivo di far conoscere ed apprezzare ai francesi la qualità dei prodotti italiani. Così nasce il lavoro di questo elegante personaggio, che mi accoglie nella sua stupenda casa nei Quartieri Spagnoli, in cui vive alcuni mesi l’anno quando è in Italia.

“Le strade sono due: segui il mercato oppure fai ai il mercato. Io ho scelto la seconda perché è l’unica capace di farlo progredire”

Raccontaci del tuo lavoro. In cosa consiste?

Più che un lavoro è un concetto globale. Gestire una azienda significa fronteggiare più lavori diversi. Tralasciando gli aspetti amministrativi e gestionali, il mio ruolo all’interno dell’azienda è stato quello di gestire gli acquisti in Italia, la logistica e il marketing. Sono tre aspetti fondamentali per questo tipo di attività di importazione e distribuzione ed è per questo motivo che non li ho mai delegati ad altri. Può sembrare presuntuoso ma sono aspetti che si muovono insieme, connessi l’uno all’altro e non possono essere suddivisi come accade nelle altre aziende. Bisogna metterli in armonia con gli obiettivi che mi prefiggo, bisogna inventarsi il modo per arrivare a questi obiettivi. È un lavoro che devi inventare ogni volta, totalmente creativo. Io mi sono inventato il mio lavoro partendo da un sogno: un obiettivo quasi irraggiungibile, che ti spinge ad andarci vicino, che ti fa progredire e dare sempre di più, sempre meglio in quella direzione. Così è stato per il mio sogno: portare la qualità italiana in Francia.

Come avviene la selezione dei prodotti, secondo quali principi?

Ormai la gamma è consolidata: in 15 anni siamo passati da 500 a 3000 prodotti. Per arrivare al mio obiettivo, al mio sogno, ogni giorno è un mattone, un tassello in più per costruire il mio grande disegno, ed ogni giorno bisogna far evolvere il prodotto. Come si fa? Comunicando, facendolo conoscere con il supporto di pedagogia, comprendendone la qualità e man mano che cresce questa consapevolezza nel mercato francese del prodotto italiano, lo si fa crescere ed evolvere: in verticale, aumentandone la qualità e in orizzontale, allargando la gamma.

“Per sapere dove andare, devi sapere da dove vieni “

Negli ultimi dieci anni c’è stata una evoluzione. Sono partito che l’immagine dell’Italia significava “scadente”, c’era stato lo scandalo del vino al metanolo, nonostante troppe aziende italiane accettavano di fornire prodotti sempre più economici e scadenti, essi venivano sostituiti da altri provenienti da tutto il mondo. È sempre un errore posizionarsi sul solo prezzo. Partendo da questa constatazione, mi sono inventato una strategia: avevamo da una parte la grande distribuzione organizzata (ed i francesi sono specializzati in questo) che ha distrutto tutto il tessuto tradizionale, un po’ come è successo anche in Italia. Rappresentavano il 90% degli acquisti alimentari francesi. I sopravvissuti della distribuzione tradizionale erano i bar e i ristoranti. Facendo una analisi vidi che all’interno di questa piccola percentuale di 120.000 attività, 20.000 erano italiane (per la maggior parte pizzerie) che di italiano non avevano più nulla. La mia idea fu di utilizzare questa rete di pizzerie come cavallo di troia, anche perché era l’unico modo per immettersi nel mercato francese partendo dal suo interno.

Man mano che il mercato cresceva adattavo i prodotti. Le pizzerie sono migliorate, partendo dalle farine italiane e ingredienti eccellenti fino alla competenza dei pizzaioli, facendoli venire anche da Napoli. Questo accadeva 15 anni fa, quello che oggi si sta appena iniziando a fare all’estero e da poco… a Napoli. Quindi partendo dalle pizzerie, guadagnando credibilità, valore, qualità, siamo passati ai ristoranti italiani: a questo punto il consumatore francese era “formato”, era cresciuto nella sua accettazione dei prodotti italiani. I ristoranti che funzionavano di più avevano delle caratteristiche comuni: erano raffinati ma allo stesso tempo conviviali ed è così che oggi i francesi concepiscono l’Italia, grazie al cibo italiano.

“Il cibo italiano è stato il miglior ambasciatore per Italia.”

In questi anni ho fatto molto lavoro sul campo, mangio sempre nei ristoranti e ciò che faccio da sempre è osservare, ascoltare e confrontarmi, con i ristoratori e con i clienti. Questi ultimi li vedevo apprezzare il clima raffinato e conviviale e mangiando italiano parlavano dell’Italia, come un viaggio sensoriale. Le conversazioni giravano sempre intorno all’Italia ed i suoi fantastici territori. Così ho capito che questa poteva essere un’alta strada da intraprendere e scoprire, quella del connubio tra cibo e territorio. E dal giorno in cui ho iniziato a pensare a questo obiettivo, ho iniziato ad adattare le mie linee di prodotti al territorio. Prima il connubio era Italia e qualità, poi si è evoluto in cibo e territorio e questo solo l’Italia può farlo, per la sua varietà territoriale ed enogastronomica. Così ho allargato anche la gamma, dopo aver lavorato sulla qualità, ho costruito regione per regione un pacchetto di prodotti offrendo un’esperienza. Uso il territorio italiano per offrire una conoscenza vera e totale dell’Italia e per far ciò bisogna offrire la qualità. E questo ha fatto la differenza, annullando la concorrenza, imponendoci sul mercato.  

“L’Italia non deve tagliare sul prezzo, l’Italia deve solo parlare di qualità.”

Come Il prodotto italiano è passato dall’alimentare al lusso. Raccontaci…

È un territorio piccolo l’Italia, una superficie minima su cui piccole aziende lavorano alla loro piccola produzione con una biodiversità unica al mondo, la più ricca e non possiamo parlare di prezzo, possiamo permetterci di parlare solo di qualità. L’Italia deve proporre emozioni: la differenza tra un prodotto alimentare e un prodotto di lusso è l’emozione che provoca. Le produzioni di queste piccole aziende italiane, che conservano un saper fare ancestrale entrano totalmente nel mondo del lusso a condizione di proporre prodotti unici e qualitativamente perfetti.

Quali sono, a tuo avviso, le debolezze ed i punti di forza dell’Italia?

Ho l’orgoglio italiano di chi è nato fuori ed ha uno sguardo esterno. Sono arrabbiato perché a molti italiani rimprovero di avere una carenza di orgoglio, fantastico carburante. Dico sempre che, almeno in Francia, il peggior nemico dell’Italia è l’italiano stesso, perché mette sempre in evidenza i lati negativi, cosa inconcepibile per i francesi. È un paese con un potenziale altissimo, con un patrimonio immenso che non sanno sfruttare, lamentandosi solo. L’italiano è il peggior ambasciatore per l’Italia.

I punti di forza, invece, sono il territorio, il patrimonio culturale che ci è stato trasmesso e che non sappiamo curare e rivalutare. È uno spreco. Il nostro petrolio è il turismo, la cultura, l’artigianato, il cibo e il vino.

Quando vivi in Italia, perché hai scelto proprio Napoli, perché proprio i Quartieri Spagnoli?

Ho scelto di vivere a Napoli guidato dal mio intuito. Spesso credo che sia stata proprio Napoli a scegliermi. Quando penso a Napoli penso ai miei Quartieri Spagnoli, un’atmosfera molto vicina a quella dei quartieri popolari della mia infanzia. Penso alla loro immensa umanità e poesia, alla loro grande energia, ottimismo e alla Vita. Ogni giorno ringrazio il cielo di viverci.

 

Grazie Bruno Colucci per il tuo sguardo critico e riflessivo di chi ci ha messo passione ed impegno nel suo lavoro che, a dire il vero, dovrebbe essere un po’ di tutti noi italiani a casa nostra.

 

Raffaella Amistà

Architetto di formazione e creativa, scopre la sua passione per la cucina alla tenera età di cinque anni con la sua prima tortina di fango. La sua bravura tra i fornelli le ha fruttato diverse proposte...

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