Quest’anno, dopo un periodo che ha messo ognuno di noi a dura prova, sono tornata a rifugiarmi presso Antica Lama, un luogo incantato in contrada Torre Spaccata, a Pezze di Greco.

Quando ripenso ai luoghi del cuore, quelli in cui ho vissuto momenti felici e spensierati, la memoria mi riporta in questo  angolo di mondo nascosto agli occhi dei più.

Dopo il lockdown, trovarmi dinanzi al prospetto di questo ristorante è stato come essere coccolati da una carezza: la facciata ricoperta da edera svela, solo ad occhi più attenti, un portone. Solo accedendovi, sembra di essere sbalzati nel giardino segreto descritto da Frances Hodgson Burnett nell’omonimo libro: ci si ritrova in una struttura che conserva il suo fascino di antica masseria (lama, come viene chiamata in queste zone, NdR) circondata dal verde dell’entroterra del Fasanese.

Gli occhi si riempiono di meraviglia, dinanzi al recupero magistrale degli spazi, ampi e immersi in un silenzioso uliveto secolare. I proprietari, che hanno ereditato i luoghi dalla nonna, accolgono i propri fortunati ospiti nelle stanze una volta adibite a frantoio e negli spazi esterni, come il pergolato. Fortunati perché il posto è lontano dai circuiti dei social network del settore, per cui essere tra i pochi che ne conoscono e apprezzano le peculiarità è davvero una fortuna.

Una volta al tavolo, avvolto da cespugli di rosmarino ed alloro, posso osservare il menu. La proposta culinaria è quasi interamente incentrata sui gusti locali, riproposti in chiave più raffinata, senza dimenticare un paio di scelte per chi preferisce il pesce, in cui comunque è la Puglia ad essere protagonista indiscussa.

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Tra antipasti, primi e secondi piatti, c’è l’imbarazzo della scelta. Il personale mi illustra i formati del paste disponibili, rigorosamente fresca e realizzate a km 0. Mi spingo sulla selezione di antipasti: bombette pugliesi con le cicorielle selvatiche, la “cialedda” (piatto freddo simile ad un’insalata con patate, cipolle, cetriolo e pomodorini, NdR), burratine con riccioli di barbabietola, ravioli di pasta all’uovo fritti  e ripieni di formaggio, pomodoro e basilico con salsa di pomodori grigliati. Tutto ottimo e dai profumi inconfondibili.

Le pietanze hanno solo preparato il palato al primo, strascinate di grano arso con ragù di guancialetti di maiale: un piatto semplice ma dal gusto ricco, che mi spinge a prendere anche il secondo. La scelta ricade sull’entrecôte con insalatina di finocchi e mandorle e, manco a dirlo, non mi pento.

Perché chiudere un pasto con la frutta se il dolce proposto è un classico “sporcamus”? E così mi abbandono alla leggera sfoglia ripiena di crema pasticcera, ricoperta di zucchero a velo che, posandosi sulle mie labbra, dà un senso al nome che porta.

Il conto è un’altra, l’ennesima carezza, stavolta al portafogli: un rapporto qualità/prezzo di tutto rispetto (circa 50 euro p.p., vino incluso) per un posto in cui trovano pace il gusto, ma anche tutti gli altri sensi.

Francesca Favia

Viaggiatrice compulsiva, Esperta Economia Circolare , Storyteller e promotrice delle gastronomia sostenibile e free cruelty

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