Daniel Canzian è considerato “l’ultimo degli allievi brillanti di Gualtiero Marchesi”. Onore e onere che sembrano non pesargli, lui è un cuoco vero, dinamico, che non si ferma mai al semplice e allo scontato.

Ben presto diventa executive chef al Marchesino, ne assorbe l’idea di cucina del Maestro Marchesi. Il 2013 è l’anno della svolta con l’apertura a Milano, in zona Brera, del “DanielCanzian Ristorante”.

Daniel, a 14 anni ha lasciato Conegliano Veneto per iniziare il suo percorso andando a lavorare per Jolly di Milano, che esperienza è stata soprattutto per un ragazzo così giovane?

A 14 anni è stata sicuramente un’esperienza importante, lontano da casa, a Milano tra l’altro – neanche a farlo apposta la città che poi mi ha ospitato.  Cosa porto con me? Porto con me un’esperienza giocosa, bella, uno dei primi passi verso una città per cui provavo già ai tempi un forte interesse e desiderio. È stata la mia prima esperienza, la più importante per un cuoco, quella che più mi ha segnato per certi versi e mi ha dato sicuramente ottimi stimoli, ma anche ottimi risultati; ai tempi ricordo che mi ritenni abbastanza preparato, nonostante i miei 14 anni. Venendo da una famiglia di ristoratori – diciamo – anche a determinati sforzi fisici ero già preparato.

Poi le esperienze con Enzo De Prà del Dolada e Graziano Prest del Tivoli di Cortina che cosa le hanno lasciato?

L’esperienza con Graziano Prest è stata importantissima e per certi versi difficile: il mio primo ingresso in un ristorante con una stella Michelin. Ho cominciato subito a lavorare il pane fatto in casa e diverse tipologie di pasta frolla. Sono grato a Graziano per il lavoro che ha svolto con me; se oggi sono dove sono è anche merito suo. Grazie allo chef ho poi conosciuto Enzo De Prà e la sua idea di evoluzione della cucina del territorio, fortemente legata alla materia prima. Successivamente è stato proprio De Prà a presentarmi a Gualtiero Marchesi.

Sicuramente la svolta professionale è rappresentata da un incontro: quello con Gualtiero Marchesi nel 2005, diventando poi nel 2008 Executive Chef de Il Marchesino, un grande riconoscimento. Come l’ha affrontato?

Il giorno in cui ho conosciuto Gualtiero Marchesi sono rimasto molto colpito perché mi ha chiesto: “Quindi non vuoi più cucinare, hai deciso di fare cucina?”. Questa differenza concettuale, così significativa, mi ha colpito a tal punto che un apprendistato di cinque mesi si è trasformato in 9 anni di esperienza.

Con lui ho creato un rapporto unico. Ho meravigliosi ricordi relativi alla parte gastronomica, tutti racchiusi in agende, ma quelli più belli sono legati alle passeggiate che facevamo insieme. Mi ha portato a conoscere Milano: Brera, il vicolo dei Lavandai sui Navigli, il Castello Sforzesco per vedere la Pietà Rondanini. Andavamo durante la stagione invernale, subito dopo Natale, quando la città era un po’ più vuota. Come ho vissuto questo periodo? Non mi sono mai demotivato, ho sempre affrontato tutto in modo tranquillo, positivo ed efficace. Il confronto con il signor Marchesi era un piacere, andava oltre qualsiasi cosa.

Avere un insegnante come Gualtiero Marchesi è certamente stato un privilegio, qual è l’insegnamento migliore che porta ancora con sé nella sua attività?

Non sono in grado di dire quale sia stato l’insegnamento migliore. C’è stato un momento nel mio percorso imprenditoriale, soprattutto all’inizio, durante il quale ero convinto di aver buttato via nove anni della mia vita per imparare La Cucina – intesa come la cucina dei grandi maestri, citando Gualtiero Marchesi – invece di concentrarmi su altri elementi altrettanto importanti come la gestione amministrativa. Oggi, invece, ringrazio le basi generali che mi ha dato il signor Marchesi, come il sapersi porre, la dialettica, la curiosità, la finezza e l’umiltà; elementi che fanno la differenza quando ci si rapporta con le persone come imprenditore. Gualtiero Marchesi non era solo un genio creativo, quello che mi ha trasmesso lui lo sto applicando e funziona. Per cui cosa mi porto? Tutto.

Lei ha detto:” Per me la cucina rappresenta un’arte che trova la sua espressione più raffinata attraverso la sintesi e la semplicità” ci spieghi meglio…

La dote più grande che una persona possa avere è la curiosità. Invece di seguire un’unica linea di pensiero, bisognerebbe essere abbastanza curiosi da andare ad attingere da situazioni e realtà diverse. Questo perché una volta assimilate tutte le competenze necessarie, non serviranno più determinati attrezzi, tecniche o ingredienti; questi entreranno a far parte dell’esperienza personale.

Il mio obiettivo è trovare l’essenza di un pensiero o di un piatto eliminando il superfluo. Miles Davis, famoso compositore Jazz, diceva sempre di usare solo le note necessarie. Bisogna sintetizzare al massimo il prodotto, rimuovendo tutto quello che non serve. La cucina di oggi è spesso incomprensibile a chi la fa, io viaggio in una linea totalmente opposta, ricercando chiarezza ed efficacia. La contaminazione orientale dovrebbe generare semplicità invece che creare confusione e caos. Questo concetto potrebbe essere applicato anche ai valori nutrizionali di un piatto. Già Seneca, infatti, sosteneva che, il corpo degli uomini fosse più forte grazie al cibo buono, semplice e non corrotto dalle pretese del piacere.

Un esempio è dato dal mio branzino al sale, che preserva la materia prima nel modo più sostenibile ed efficace possibile.

Nel 2013, apre il Daniel Ristorante, qual è l’idea di cucina che vuole trasmettere ai suoi commensali?

Voglio trasmettere un’idea di cucina italiana contemporanea; attingendo a tecniche, idee e ingredienti che oggi si inseriscono nel panorama gastronomico nazionale. Inizialmente la mia idea era quella di fare una cucina con soli ingredienti italiani seguendo la tradizione, ma quando ho aperto, Milano non era ancora pronta a determinate scelte. Come affermo anche nel mio manifesto, credo nella regionalizzazione della cucina, volta a seguire la biodiversità delle ricette; dobbiamo essere consapevoli dell’enorme potenziale del nostro territorio e della storia culinaria che affonda le proprie radici nell’antica Roma.

Lei ha intrapreso un percorso di “restauro” delle ricette della tradizione italiana, in che modo?

A mio avviso la rivisitazione esasperata di alcuni piatti è inutile. Il mio intento è quello di attualizzare le grandi ricette della cucina italiana dimenticate. Non mi devo vergognare di fare un piatto di pasta senza stravolgerlo aggiungendo mille ingredienti o cuocendolo in estrazioni. Parlo di restaurazione perché semplicemente va tolto quel velo di polvere facente parte di un’epoca passata, utilizzando un pizzico di coraggio e di consapevolezza.

Ci può raccontare qual è il “signature dish” che più di tutti la identifica, cosa lo rende unico e se lo rivisiterebbe in futuro?

Direi il Risotto al limone con sugo d’arrosto e liquirizia e il Minestrone. Entrambi in carta dal 2013 mi identificano a pieno. Il primo semplicemente per i ricordi d’infanzia: il classico sugo d’arrosto della nonna, più buono della carne stessa, diventa protagonista con un risotto mantecato con del limone in salamoia e con un tocco di liquirizia. Il Minestrone invece mi rappresenta; è il secondo piatto che ho proposto al ristorante e che non ho più tolto dal menu. È ciò che non andrebbe servito in un ristorante essendo un piatto tipico della tradizione riservato da sempre al consumo casalingo. In futuro non li rivisiterei perché non amo semplificare ma attualizzare. Alcuni piatti una volta marcati sono difficili da toccare per cui più che rivisitarli dovrò saperli tutelare.

Com’è nato il “Manifesto della Cucina Italiana Contemporanea”?

Il manifesto nasce nel 2017, forse più per me che per gli altri, per capire a che punto fossi.  È formato da sette punti volti a tutelare e rivalutare con orgoglio la cucina che mi piace di più: quella italiana. Il manifesto specifica la cura del dettaglio, dell’estetica e della sostenibilità.

La cucina italiana è di per sé sostenibile perché nasce dalla cultura popolare, non dallo sfarzo dei palazzi. Nasce dal riutilizzo di quello che c’era negli orti, seguendo il ciclo delle stagioni e cercando di non sprecare niente.

“DanielCanzian a casa tua“, il primo servizio gourmet a domicilio e take away lanciato a marzo 2020. Come è nato e com’è andata?

Non so se sia nato come atto di disperazione o per un colpo di genio a ridosso dell’inizio della pandemia. Ho deciso di proporre questo servizio al momento della chiusura, prima di tutto per necessità. A fine maggio avevo praticamente impostato un sito e-commerce – tutt’ora in continua evoluzione – un servizio che mi ha dato un grandissimo supporto salvando l’azienda; probabilmente senza questo oggi il ristorante non ci sarebbe più, ho sentito il calore della gente e dei clienti affezionati. Non è delivery ma un servizio di commodity: un menu degustazione consumabile comodamente a casa, dall’aperitivo ai piatti principali.

L’emergenza Covid-19 ha cambiato molte delle regole dell’enogastronomia, lei come crede che cambierà il futuro della ristorazione quando tutto sarà finito?

Il 2020 ha davvero cambiato le regole, e penso che da qui a dodici mesi sarà tutto ancora diverso. Sono ancora poche le persone che comprendono realmente i costi della ristorazione, sia che si parli di una piccola pizzeria di quartiere che di un grande ristorante stellato, le materie prime rappresentano il costo meno impattante e più adattabile. Sono tutti gli altri costi di servizio ad influenzare realmente l’andamento di un locale. Per questa ragione penso che la ristorazione cambierà molto diventando ancora più elitaria.

Recentemente, l’architetto Stefano Boeri mi ha fatto riflettere affermando che si dovrebbe cambiare il concetto di B2B con un acronimo legato al Back to Basic. Penso che la gente stia cercando proprio questo, non ha più voglia di fronzoli ma di cose concrete.

Da gennaio 2020 è vicepresidente Jre Italia, cosa rappresenta per lei?

Sì, e dal 2022 sono anche Vicepresidente europeo del JRE. Jeunes Restaurateurs d’Europa, è l’unica associazione di cuochi imprenditori, ad oggi suddivisa in sedici nazioni europee più l’Australia, con l’intento di diventare global nei prossimi anni. I membri sono tutti cuochi che hanno una visione imprenditoriale fortemente legata alla sostenibilità, non solo delle portate ma del ristorante nella sua interezza. Per me è rilevante perché un piatto non termina in sala ma con il conto economico, che deve essere ragionato e regolato in base alle necessità. Inoltre, posso confrontarmi con cuochi competenti che hanno le mie stesse problematiche, in un ambiente multiculturale.

Ogni sei mesi ci riuniamo con i presidenti delle singole nazioni per poter comprendere l‘andamento generale; è un momento molto formativo e impagabile.

Luigi Cristiani

Laureato in Economia, ha poi conseguito un MBA presso lo Stoà. Lavora in Enel Green Power dove si occupa di pianificazione e controllo . Dal 2010 scrive su diversi blog di economia e finanza (Il Denaro,...

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