Lo chef-artista ha a cuore la cucina fusion con prodotti italiani.

Cucina fusion nel segno dell’arte è il suo marchio di fabbrica. Noi di Food Makers lo abbiamo già incontrato lo scorso anno, ma siamo felici che lo chef Yari Sità ci abbia raccontato le ultime novità che riguardano il suo percorso. Dopo la breve parentesi dal sapore spagnolo-orientale con il ristorante Taperia Y Cocina a Torino, è pronto a una nuova collaborazione che sarà il completamento delle appassionanti e formative esperienze accumulate nel corso degli anni, da Bangkok alla Florida passando per Barcellona. L’epidemia da coronavirus sta mettendo a dura prova il settore della ristorazione e con Yari abbiamo fatto il punto anche su questa situazione.  
Buona lettura!

Yari, sei pronto per scrivere altre fortunate pagine della tua carriera. Raccontaci dove ti troveremo non appena sarà passata l’emergenza attuale.
In qualità di chef mi unirò a un gruppo già consolidato presso il Kaizen fusion Japanese food a Collegno (TO). Ringrazio il proprietario Stefano Farelli a cui sono legato e a cui devo molto. Cercherò di portare i miei concetti di cucina in base alle esigenze della clientela e del locale come ho sempre fatto in passato. Sono concentrato e mi sento molto responsabilizzato, per il  momento storico che stiamo vivendo e per la fiducia che mi è stata data. Sarò uno chef samurai!

Generalmente, come sono strutturati i tuoi menù? Sappiamo che hai un occhio di riguardo per i vegetali, vero?
Non ho una regola fissa, tento di valorizzare la biodiversità dei nostri vegetali, le tecniche e la ricerca non devono alterare assolutamente la materia. Quindi tantissime ore di prove in cucina. Il concetto che vorrei trasmettere è che SI PUÒ FARE UNA GRANDE CUCINA FUSION CON PRODOTTI ITALIANI! Non mancano poi, nei miei menù, piatti del sud Italia a cui sono legato avendo origini calabresi. Amo soprattutto la gastronomia campana, quindi verdure alla scapece e scialatielli ai frutti di mare sono sempre presenti nei miei menù! Cerco sempre di ruotare intorno alla stagionalità dei prodotti vegetali e delle materie prime, dedicandoci molto tempo.

Durante il periodo di quarantena stai continuando a creare? Soprattutto, qual è il tuo stato d’animo e quanto influisce sulla sperimentazione di nuovi piatti?
Assolutamente si, sto continuando a creare e sperimentare piatti. Per me è fondamentale, mi tiene vivo e lucido! Lo stato d’animo si divide tra alti e bassi, ma sto imparando a gestirlo proprio perché si riflette sui piatti e sulle idee. Cerco di respirare e meditare a fondo quando sono annebbiato, questo mi aiuta. Mi ispiro molto ai samurai.

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In questo momento così difficile, come si può trasmettere serenità alla clientela? Quale pensi sia la strada giusta post-emergenza per ripartire con la ristorazione?
In questo momento si può trasmettere serenità con la programmazione, la lucidità, l’armonia, l’amore per il prossimo e la condivisione. Un semplice sorriso e un “come stai?” fanno la differenza. Noi chef dobbiamo essere capaci di fare divertire il pubblico anche con il delivery, differenziarci e allo stesso tempo unirci nella condivisione di progetti. Si spera che verso settembre si possa piano piano ripartire con una situazione normale. 

Ecco, hai citato “delivery”. Il settore della ristorazione può servirsene utilmente?
È importante avere un progetto chiaro su ciò che si vuole fare. Qui a Torino, così come a Milano e nel nord Italia, molte attività sono chiuse da un po’. Quindi l’unico modo per ricominciare ad avere un rapporto col pubblico è proprio il delivery, seppur con ricavi meno elevati e con alcuni piatti che non si prestano a questo tipo di servizio. A Torino il dibattito è vivo da un po’. Penso che ci possano essere delle soluzioni per fidelizzare il cliente e coccolarlo anche col delivery in attesa di riaverlo ospite nel proprio ristorante quando le normative lo permetteranno. In America, per esempio, l’alta ristorazione (Alinea, tre stelle dalla Guida Michelin) ha deciso di applicare la formula del domicilio in questo momento. Ripeto, se studiata con marketing e un piano per poter avere un margine che ti permetta di non perdere contatto col pubblico, l’idea può funzionare purché faccia parte del business anche successivamente. Chi mette in atto il delivery non deve perdere identità e cercare di essere originale e competitivo.

Ritornando a parlare della tua prossima avventura da chef, possiamo definirla come una sintesi delle esperienze gastronomiche e di vita fatte finora?
Si, questa nuova avventura torinese sarà la sintesi e il completamento di tutte le mie esperienze. Da quando ho iniziato all’età di 17 anni ho sempre pensato che sulla trentina avrei fatto parte del team di un ristorante fusion giapponese. Ora ho 33 anni e direi che ci siamo, non vedo l’ora di iniziare. Creatività, sperimentazione, contaminazione insieme alle grandi materie prime saranno i cavalli di battaglia!

Pietro Bruno

Classe 1994, laureato in “Media, comunicazione digitale e giornalismo” presso la Sapienza Università di Roma. Nel 2017 ho pubblicato il mio primo saggio “È il tempo della radio in TV” (Guida),...

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