Il Ramadan, nono mese del calendario lunare musulmano dedicato al digiuno, è un momento di straordinario coinvolgimento anche per chi non è osservante. La prima cosa che si avverte è una scansione diversa del tempo: dilatato e rarefatto durante il giorno, riprende il suo ritmo animoso subito dopo il tramonto con il canto del Muezzin. Dall’alba al tramonto, i fedeli si astengono dal bere e dal mangiare nonché dal fumo, dal sesso, dall’ingiuria e dalla menzogna. In un certo senso è un digiuno simbolico, un distacco dal “terreno” che in questo lungo mese commemora  la prima rivelazione del Corano a Maometto “come guida per gli uomini di retta direzione e salvezza” (Sura II, v. 185)

In alcuni paesi come la Turchia, la Tunisia, gli Emirati Arabi Uniti, il digiuno del popolo musulmano si mescola senza conflitto con la normale routine dei non praticanti, in una fluida convivenza di usanze e tradizioni differenti.

In altri paesi come l’Oman, invece, i ristoranti e i bar sono chiusi durante il giorno e i non praticanti possono consumare i pasti solo in spazi distanti dagli occhi di chi digiuna.

In effetti, la stretta vicinanza con la comunità e l’abnegazione con cui svolgono le normali attività quotidiane, il più delle volte con temperature cocenti e difficili da sostenere anche in condizioni normali, inducono ad empatizzare e ad isolarsi spontaneamente, anche solo per bere un bicchier d’acqua.

Come facciano a resistere per un tempo cosi lungo e soprattutto, cosa accada nelle case al rintocco del Muezzin, quando finalmente è l’ora di rompere il digiuno, Iftaar, sono le domande più ricorrenti per chi ha modo di vivere da osservatore questo tempo.

Per levarsi la curiosità, credo non ci sia altro modo che “testarsi” mettendosi alla prova in prima persona,  su cosa avvenga, o meglio, su come si celebra l’Iftaar nelle case, posso finalmente portare una testimonianza diretta avendo avuto il privilegio di essere stata ospite di una famiglia omanita.

Gli omaniti sono un popolo ospitale, gentile e accogliente. Tuttavia, entrare nelle loro case  non è semplice: le alte mura che le circondano, non sono solo una costante  dell’architettura islamica ma rispondono anche all’esigenza di vivere la vita familiare con discrezione, un ménage che rimane intimo e selezionato nella condivisione, segreto ed inaccessibile all’esterno.

Sono riuscita ad accedervi grazie alla buona parola di un amico che mi ha introdotta ad una famiglia di Salalah, capitale della provincia del Dhofar nell’Oman Meridionale, dove mi trovavo in vacanza per pochi giorni.

La mia visita non è stata preparata, anzi, è risultata totalmente inaspettata, una chance colta sul momento che l’ha resa ancor più autentica e genuina.

L’amico “intermediario” mi ha accompagnata fino al cancello della grande casa di famiglia dove mi accolgono Kamila e Nawal, due sorelle: sarà un Iftaar tutto al femminile, come è d’uopo nella tradizione islamica.

Kamila e Nawal vestono abiti colorati e sono visibilmente entusiaste all’idea di avere un’ospite interessata a condividere uno dei momenti più cari della loro cultura.

Mi fanno accomodare nella stanza degli ospiti che è un grande salone rettangolare perimetrato da un divano rosso.

Kamila, la maggiore, mi introduce subito al rito dell’Iftaar indicandomi il samat, la stola rettangolare ricamata a festa adagiata su un grande tappeto di seta, su cui avremmo consumato il pasto.

Man mano che Kamila parlava, Nawal e una domestica indiana iniziavano ad adagiarvi stoviglie e pietanze.

“Il digiuno si rompe mangiando i datteri e bevendo pian pianino acqua e labneh (yogurt di colore bianco, realizzato con latte di pecoravacca, a volte anche di capra, tipico delle cucine mediorientali).

La tradizione vuole che i datteri siano in numero dispari 3, 5, 7 o 9…Non è una vera e propria norma (Sunnah), ma a noi piace osservare questa pratica. Subito dopo faremo la supplica (Dua) e poi continueremo il nostro Iftaar”.

Mentre spiega, Kamila è attenta a come si stanno disponendo le pietanze sul samat che è ormai completo di tutto il necessario; nel frattempo ci ha raggiunte la cognata, Salma, e siamo tutte sedute a terra in attesa della chiamata che arriva con il saluto dell’ultimo spicchio di sole.

Adagio, senza smania, mi invitano a bere dell’acqua e mi porgono un piccolo scrigno di datteri, ricordandomi con le mani i numeri dispari.

Poi, dalla tipica caffettiera col beccuccio ricurvo (Dallah) mi  servono il caffè omanita, aromatizzato con acqua di rose e cardamomo.

Così come annunciato da Kamila, una alla volta, alternandosi, si allontanano dal samat per recitare la Dua, una preghiera semplice in segno di ringraziamento.

Dopo il  breve preludio di acqua, datteri e caffè, segue una zuppa calda che spesso è di lenticchie rosse mentre in questo caso è a base di verdure e carne di cammello.

La carne viene tagliata a bocconcini e lasciata stufare per almeno tre ore. Con la stessa acqua della carne si cucinano le carote tagliate a julienne, cipolla, pomodori e si lasciano insaporire con pepe nero e za’atar (mistura di spezie tradizionalmente composta da timo, sesamo e sale).

La zuppa è deliziosa: la punta di limone con cui si condisce alla fine regala freschezza e bilancia perfettamente il gusto corposo e intenso della carne.

Sul samat, intanto, sono stati disposti diversi tipi di samosa, fagottini di sfoglia fritti variamente ripieni di verdure, carne, pollo e ovviamente tante, tante spezie.

I samosa sono un popolare street food di origine indiana diffusi in tutta l’Asia e sono un must  delle tavole addobbate a festa.

Infine, Kamila chiede di servirmi il piatto principale, il kingfish salona (pesce con verdure in umido nel latte di cocco) accompagnato da riso basmati al profumo di alloro.

Il kingfish (noto anche come ricciola dalla coda gialla), viene sfilettato, pulito dalla pelle, lavorato con le mani a mò di polpetta aggiungendo farina, curcuma, zenzero e lasciato a risposo in frigo un paio d’ore. Quindi, si cucina nel latte di cocco con cipolla, zucchine, peperoni e paprica.

E’ un piatto dal tipico sapore orientale nel quale il gusto del pesce, ammorbidito dalla lavorazione, viene esaltato dalla dolcezza della salsa e dal contrasto delle spezie.

A questo punto il mio viaggio culinario potrebbe dirsi concluso: sono tanti i profumi e le sensazioni che si accavallano e nel palato.

Kamila pero’, con ferma gentilezza, mi porge i luqaimat, dei tradizionali dolci mediorientali di origine siriana che ricordano le nostre frittelle dolci. Mi dice che sono irrinunciabili durante il Ramadan e che, oltre ad essere buonissimi, sono di buon auspicio.

Il nostro Ifaar e’ durato circa due ore fra mugolii di apprezzamento, chiacchiere, tanta acqua e succhi di frutta.

Al piano di sopra, sentivo le voci degli uomini che consumavano il medesimo pasto preparato da Kamila e Nawal: stesso rito al maschile.

Durante il Ramadan le strade sono illuminate da piccole lucine e da tanti addobbi tipici, ricorda il nostro Natale.

I ristoranti servono l’Iftaar in una ricca e variegate esposizione dei cibi della tradizione.

Anche questa è un’opportunità per entrare a contatto con la cultura gastronomica  anche se a volte può ridursi ad un business dove si trova un miscuglio di tutto.

L’Iftaar in casa è diverso: l’intimità, la lentezza, la genuinità lasciano addosso il sapore dolce della carezza della sera.

Raffaella Murdolo

Raffaella Murdolo, calabrese, vive da sei anni a Muscat, capitale del Sultanato dell’Oman dove lavora per la Royal Opera House in qualità di Artistic Programming Manager e Supervisor del dipartimento...

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