Formula innovativa per Hydra – fine food & wine cellar – dell’asset proprietario Marco D’Amato e Nicola Sessa, con la cucina dello chef Star Michelin-rated Adriano Dentoni Litta.

L’Isola greca di Hydra è un microcosmo autonomo, per bellezza e prosperità, con un ciclo vitale imperniato sulla lentezza e ieraticità. Lunga venti chilometri e larga appena sei, ha storicamente rappresentato un buen retiro per i ricchi borghesi ateniesi, ospitando celebrità del calibro di Aristotele Onassis, Sophia Loren, Mick Jagger e Leonard Cohen.

Sono numerose le influenze della cultura classica greca nella nuova intrapresa della coppia di amici e soci Marco D’Amato e Nicola Sessa, titolari del ristorante Hydra, nel centro storico di Salerno: l’idea del mare è evocata dalla vicinanza logistica, ma la fontana collocata nello splendido atrio, unitamente ai dettagli d’arredamento, ne restituisce propriamente l’idea di circolarità e di infinito.

Una ricerca per sottrazione, campiture di colore che ne definiscono gli spazi interni dalle influenze minimal-chic-industrial, un dehor accogliente ubicato sul retro della sala principale per i periodi estivi, suggello una splendida cucina a vista – executive chef la stella Michelin Adriano Dentoni Litta, di cui avevamo parlato la scorsa estate dal bistrot di Armatore – con il wine cellar ricavato in un una cantina in pietra, prospiciente l’ingresso, a fare da contraltare.

Incontriamo i titolari in una fredda mattinata di un inverno ormai inoltrato, per una estesa degustazione e due chiacchiere informali sul concept alla base del progetto. Colpisce anzitutto l’assenza di divise formali per la crew, sei in sala e quattro nella cucina, tra cui la talentuosa pastry chef Chiara Ragano, “perché questo è un progetto in divenire, che cresce con i nostri ospiti, non considerati alla stregua di meri clienti – chiosa Marco D’Amato – siamo consapevoli che Salerno non è una città dalla vocazione europea per tanti versi, e ci piace collocarci come avanguardia, che proponga un concetto eterodosso di offerta eno-gastronomica”.

Promozione dell’ecosostenibilità tout court, sin dalla redazione del menù “stampato su carta riciclata sostenibile ricavata da gusci di mais” ma anche dalla composizione dei due menù degustazione, titolati “Memorie di Adriano” – dal celebre libro di Marguerite Yourcenar – rispettivamente “Persefone”, interamente vegetale, ed “Efesto”, a mano libera dello chef, precipuamente con ingredienti di pescato fresco locale e produttori a chilometro zero, senza disdegnare carne e cacciagione, selezionata da piccoli produttori dell’intero territorio nazionale.

Una menzione a parte, seguendo tale linea filosofica informatrice, anche la straordinaria carta dei vini, circa trecentocinquanta etichette disponibili, con una grandissima rilevanza conferita ai vigneron naturali, bio-dinamici e steineriani. Originale la legenda, riportata nella copertina nella carta dei vini, con l’annotazione della distinzione, per singole referenze, fra prodotti “naturali, macerati, biodinamici, anforati e di micro-produzioni”, tutti da aziende prescelte personalmente dall’eclettico socio Nicola Sessa, instancabile guru e selezionatore di nuovi produttori che si collochino come prima linea della ricerca, fautori di un ritorno alle origini della viticoltura, lontani da trend di mercato, convenzioni commerciali e prassi auto-referenziali.

Ci accomodiamo allo splendido bancone “da noi concepito come uno spazio living a tutti gli effetti, che favorisca la convivialità dei nostri amici, dove spesso ci tratteniamo a dialogare nel corso dei pasti” – precisa D’Amato –  vengono serviti gli eleganti amous-bouche, macaron con burro alle olive, sfera di caprino con cavolo cappuccio, e infine tartelletta alle mandorle con spaghetto di cetriolo e gel di limone. In funzionale pairing, si inizia con l’acidità tagliente del Pinot Bianco “Sur Lie Metodo Classico Brut Nature 2019” Terre di San Rocco, proseguendo con l’iconico Champagne da Meunier in purezza, dosaggio zero, “Vadin Plateau”, assemblaggio di due annate, davvero sontuoso e dalla mineralità marcata.

Gli intenti palingenetici sono palesati dall’indicazione, nei piatti, semplicemente degli ingredienti utilizzati senza l’utilizzo di nomi altisonanti, sul “gambero di Mazara, scarola, Daikon e wasabi” viene abbinato un Langhe Bianco di Parusso 2020, degustato anche sul seguente “dentice marinato, estratto di barbabietola, gel di cetriolo e tè matcha”.

Probabilmente l’equilibrio perfetto viene raggiunto, nella tecnica di Dentoni Litta, nel gioco di consistenze del successivo “orzo, castagne, funghi orecchie d’elefante, topinambur e verza”, davvero dalla sapidità mirabolante, valorizzato ulteriormente dal pairing con il misconosciuto – quantomeno dallo scrivente – Vino Bianco “Il Carica l’Asino 2020” della piemontese Carussin, su toni di frutta fresca e fiori, con una leggera macerazione.

Caratterizzato da versatilità notevole il successivo “baccalà, patate e chips”, in cui, ad onta del rimando tradizionale, la tempura croccante preparata dallo chef ha echi di cucina orientale, conferita anche dall’aromatizzazione delle chips. In abbinamento il “Chiroubles Vieilles Vignes” 2016 di Damien Coquelet, Gamay in purezza – dalla zona del Beaujolais – per una raffinatezza sorprendente, capace di rimuovere dal palato, in una teoria di contrasti, le (poche) tracce di untuosità della frittura, con note di polpa di frutti rossi, succoso e dalla persistenza lunga.

Si conclude con il dessert della menzionata chef de patisserie Chiara Ragano, “creme brulè alla cicoria, terra di cioccolato salato, frutti rossi e barbabietola”, in pairing, rifuggendo da qualsiasi stucchevolezza, il Rosza Alexander Koppitsch, da uve Shiraz e Blaufrankish, rosato da provenienza austriaca, con delicate note di  fragola anguria, lampone e rabarbaro, anche questo una scoperta mirabolante.

Carlo Straface

Carlo Straface, partenopeo di nascita, corso di studi in giurisprudenza, di professione avvocato e giornalista pubblicista, eno-gastronomia e letteratura le sue coordinate di riferimento. Sommelier di...

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