Il nuovo corso del ristorante pizzeria Gorizia 1916 della famiglia Grasso, in risalto piatti della tradizione campana ed una carta dei vini con oltre seicento referenze.

Una linea di discendenza di sangue ed ideale, uniti nella diversità, in nome di un’attività imprenditoriale che da oltre un decennio conferisce lustro al quartiere Vomero, ed all’intero capoluogo partenopeo.

Arduo sarebbe riassumere il rapporto composito che lega padre e figlio, sin dall’elemento nominale comune: Salvatore Antonio Grasso, padre – pizzaiolo e chef per discendenza – e Salvatore Marco Grasso, figlio, da tutti conosciuti come “Toto”, owner e gran maestro di cerimonie e d’accoglienza in sala.

Salvatore era anche il nome del nonno e fondatore primigenio, di grande tribolazione e sacrificio furono gli anni trascorsi al fronte – da qui la ragione sociale “Gorizia”, in onore dei suoi commilitoni impegnati al fronte durante la prima guerra mondiale, che proprio in quegli anni accedevano nella città irregimentati – la volontà pervicace, al rientro, con il sostegno della moglie Anna, di implementare in proprio la specializzazione di pizzaiolo, in un quartiere che era un declivio collinare ricco di coltivazioni e terreni agricoli.

I luoghi aviti che ritornano, un “ecumenismo” ristorativo, fra la clientela è possibile annoverare dai nobili agli operai, dagli intellettuali ai professionisti, con un’offerta che progressivamente si è estesa ai piatti della tradizione regionale, di successione in successione, sino alla configurazione attuale.

Un notabile avvicendamento, ai tavoli, di personaggi illustri, dal leggendario Totò a De Filippo, passando per Luciano De Crescenzo che, giovanissimo, ottenne qui il suo primo lavoro come apprendista cameriere, sino alle forniture alla Società Sportiva Calcio Napoli, negli anni di allenamenti e partite presso il “Collana”, lo stadio di quartiere.

I RUOLI DEGLI ATTUALI PROPRIETARI

Pochi fronzoli per la testa di Grasso Senior, fautore di una pizza dall’impasto diretto con otto ore di lievitazione, farine tradizionali e lievito di birra, cotta rigorosamente in forno a legno, ingredienti dalla qualità tracciata, una marcata digeribilità come risultato finale, gustosa senza eccessi.

Nessuna cesura, dunque, con la tradizione, ma anzi un retaggio senza soluzione di continuità, che hanno valso al nostro imprenditore il ruolo di presidente dell’Unione Pizzerie Storiche Napoletane – dodici i locali annoverati – impegnato in una meritoria opera di difesa e divulgazione della pizza, in nome e nel segno di un prodotto divenuto patrimonio Unesco.

Grasso Junior, “Toto”, è titolare dai pochi accomodamenti, e dalla grande risolutezza ed accoglienza, in una logica di sinergia operativa: trentasettenne, studi da ingegnere, un canale ideale con la Francia sempre aperto, dove opera, con grande riscontro di pubblico e critica, l’omonimo cugino Guillame, alfiere della pizza napoletana in quel di Parigi.

Chevalier della Champagne, imprenditore cosmopolita, appassionato di alta cucina e collezionista di bottiglie rare, soprattutto bollicine, ha conferito lustro al proprio locale, contribuendo all’ottenimento, per il medesimo, del marchio di Krug Ambassade, nell’anno 2020, rivoluzionando e nobilitando con annate rare di prestigiosi Champagne – segnatamente Dom Perignon e, ca va sans dire, Kurg – la carta delle referenze enologiche, da lui personalmente curata.

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LA DEGUSTAZIONE

Si inizia dalle pizze, “Margherizia” – variante della storica Margherita – con pomodoro del piennolo, mozzarella fior di latte e provola di Agerola, provolone del monaco dolce e crudo, seguita dalla “1916”, nata in occasione del centenario della pizzeria, il topping di ricotta emulsionata, carciofi saltati, salame a julienne e fiori di zucca aperti è davvero in mirabile equilibrio.

In pairing, seguendo l’afflato ideale di Toto, per l’occasione accomodatosi al tavolo, l’agnizione di sua maestà Krug Grand Cuvèe 170eme Edition, straordinario perlage e persistenza aromatico-gustativo, un blend di vini di riserva provenienti da diverse parcelle e da undici annate diverse, composto nell’annata 2014, davvero indimenticabile.

Si prosegue con la teoria dei piatti della tradizione, antesignani dello street food, che hanno segnato la storia del locale: la mozzarella in carrozza – ad avviso dello scrivente, la migliore mai assaggiata – le candele alla genovese, del pastificio Gentile, la parmigiana di melenzane, ed infine l’iconico ragù della nonna.

Altro coup de theatre del nostro oste, che sull’ultima preparazione abbina, con spregiudicatezza poco transalpina e molto partenopea, un altro champagne fuoriclasse, ovverosia il Fut De Chene MV 17 della Maison Henri Giraud, multivintage con base annata 2017, aggiunta di vini di riserva con il metodo solera dall’annata 2000 alla 2016, blend di ottanta per cento di Pinot Noir e 20 per cento di Chardonnay.

Che grazie e leggerezza il dessert a corredo, “la zuppa inglese” signature dish del ristorante – ampiamente prescelta dalla variegata clientela, Grasso Junior non smentisce la sua grandeur nella selezione, proponendo lo Chateau d’Yquem annata 2019 – chiosando come la maggior parte dei vini in carta siano disponibili alla mescita al calice.

Un Sauternes leggendario, Premier Cru Superier, menzionato tra l’altro nel capolavoro letterario La Recherche di Proust, caratterizzato da un equilibrio unico e distintivo fra acidità e dolcezza, degno epilogo di un pranzo ricco di sorprese e variazioni gustative, che ben riflette la personalità dei titolari.

Carlo Straface

Carlo Straface, partenopeo di nascita, corso di studi in giurisprudenza, di professione avvocato e giornalista pubblicista, eno-gastronomia e letteratura le sue coordinate di riferimento. Sommelier di...

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