Renata Sitko pizzaiola di Villa Giovanna, locale sito ad Ottaviano ai piedi del Vesuvio, ha appena ricevuto i “tre gamberi” il massimo riconoscimento che la guida del Gambero Rosso attribuisce ai pizzaioli.

Questo a dimostrazione che il binomio donna-pizza comincia ad avere un peso importante in un settore fino a qualche tempo fa di esclusivo appannaggio maschile.

Arrivata in Italia dopo il diploma al liceo pedagogico in Polonia approda dopo qualche tempo al mondo della cucina.

Con questa chiacchierata ho provato a conoscere e capire meglio questa donna dolcissima e determinata, con un carattere forte che la spinge ancora oggi a dare il meglio in tutto quello che fa grazie al suo motto “chi si ferma è perduto”.

Quando e come arrivi in Italia?

Sono arrivata in Italia nel lontano 1993 a 19 anni, senza saper parlare la lingua e senza capire una parola.

Quando inizi a muovere i primi passi nel mondo della ristorazione?

Questo è successo più tardi, quando ho conosciuto mio marito che veniva da una famiglia che lavorava nel mondo della ristorazione.

Naturalmente non ho cominciato facendole pizze, sono partita dal bar facendo solo qualche caffè e poi da quello ho cominciato a lavorare in sala.

L’approccio alla pizza arriva molto dopo e a causa di un problema molto frequente nelle pizzerie, la difficoltà di reperire e conservare i pizzaioli.

Il nostro è un locale a conduzione familiare e i ragazzi che vengono a lavorare da noi devono entrare a far parte di questo contesto, quasi come se fossero parte integrante della famiglia, quindi trovare sempre qualcuno che sappia adeguarsi a questo clima e che si sappia anche comportare non è molto facile.

Questo mi ha spinto a mettermi in gioco, l’esigenza di non dover dipendere dal pizzaiolo di turno, ma anche una sorta di sfida con me stessa a migliorarmi e diventare brava nel settore per creare un qualcosa di solido per il futuro dei miei figli.

Quindi tu hai cominciato da autodidatta?

Si è proprio così anche perché io sono una grande osservatrice e quando lavoravo in sala non perdevo occasione, nei momenti liberi, di osservare i pizzaioli, di studiare i loro movimenti.

C’è da dire che la cucina e tutto ciò che ruota intorno al cibo mi hanno sempre affascinato quindi non è stato difficile osservare per cercare di capire. Solo dopo ho frequentato anche diversi corsi per migliorarmi, ho studiato, fatto ricerca fino ad arrivare a quello che sono oggi anche se secondo me non bisogna mai adagiarsi anzi, bisogna continuare a lavorare per migliorarsi sempre.

Quando hai iniziato a fare la pizza avresti mai immaginato di arrivare ai risultati di oggi, con premi, riconoscimenti e menzioni anche in importanti guide del settore?

Assolutamente no, soprattutto all’inizio. È vero però che mi sono dedicata completamente a questa professione. Pur avendo i figli piccoli studiavo e frequentavo corsi, ponendomi sempre nuovi obiettivi da raggiungere.

Sono convinta che tutti debbano sempre tendere a migliorarsi, a non considerarsi mai arrivati nonostante i premi e i riconoscimenti perché non si finisce mai di imparare.

Non credo di essere arrivata al massimo delle mie potenzialità, penso di essere abbastanza brava ma di potere e dovere fare ancora di più.

Come definiresti la tua pizza?

Facciamo sia pizza tradizionale che “alternativa” con abbinamenti che forse qualcuno potrebbe considerare azzardati ma che per noi funzionano.

A causa del covid abbiamo rallentato un po’ ma io sono arrivata a lavorare anche con 6/7 impasti diversi.

Mi piace giocare con le spezie, ma anche con il caffè e il cacao, fare abbinamenti con materie prime che si sposano bene tra di loro andando a creare equilibri particolari.

Cerchiamo di guidare il cliente verso percorsi ed esperienze nuove invitandolo ad affidarsi a noi senza stravolgere gli equilibri che abbiamo studiato per loro.

È ovvio che molto dipende dal gusto personale però siamo in grado di soddisfare tutti dai più tradizionalisti ai più curiosi.

Renata quanto è stata complicata l’integrazione nel nostro paese prima e poi nel tuo settore lavorativo.

Devo ammettere che l’integrazione in Italia per me è stata abbastanza semplice, oserei dire dolce. Sono una persona dalla mentalità molto aperta, una gran chiacchierona, forse all’inizio la mentalità un po’ più chiusa del meridione mi pesava ma poi pian piano ci si abitua, si capiscono le abitudini e le tradizioni degli altri e si impara a rispettarle.

Per il lavoro è stato più faticoso perché, almeno qui in Campania il mestiere del pizzaiolo era considerato prettamente maschile, le donne si contavano sulle dita di una mano. Io poi da straniera ho dovuto affrontare una doppia fatica, quella di farmi accettare e di trovare i miei spazi. È stata dura all’inizio ma adesso tra me e i miei colleghi pizzaioli c’è molta stima reciproca, hanno imparato ad accettarmi e hanno capito che ho solo voglia di fare bene e di crescere, non di mettere i bastoni tra le ruote o di stravolgere le abitudini degli altri.

E nel rapporto con i clienti?

Ancora oggi qualche cliente dopo aver mangiato la pizza dice ai ragazzi di fare i complimenti al pizzaiolo perché è automatico pensare all’uomo dietro al banco. Quando i miei ragazzi dicono che “il pizzaiolo” in realtà è una donna, qualcuno si meraviglia. Nella mia zona ormai sono abituati, anzi mi supportano nel mio lavoro, ma per chi viene da fuori suona ancora strano.

Però ultimamente stiamo assistendo ad una rivalutazione del ruolo della donna in pizzeria, o sbaglio?

Si è vero, e purtroppo devo dire che questa cosa è più frequente al nord. Ho tante colleghe pizzaiole al nord mentre in Campania siamo ancora poche, forse a causa di un retaggio culturale (che per fortuna va scomparendo) che ancora vede al sud la donna più legata all’ambiente domestico e familiare. Al nord probabilmente ci sono più donne che lavorano e quindi non si fa caso al tipo di lavoro che svolgono.

Però per fortuna diciamo che il numero delle donne in pizzeria sta aumentando e speriamo che continui a crescere.

Bisogna anche ammettere che si tratta di un lavoro totalizzante e molto impegnativo, che richiede anche forza fisica. Inevitabilmente una donna che lavora in pizzeria, con le tempistiche che questo mestiere richiede, deve in qualche modo sacrificare altro, quindi deve sottrarre un po’ di tempo alla gestione della famiglia, dei figli e della casa. Insomma tutto diventa più complicato, però se c’è volontà le ragazze possono inserirsi in questo mondo, seppur lavorando un pochino in più, anche perchè il mio motto è sempre stato “Volere è potere”.

Renata a Villa Giovanna fate pizza napoletana ma tu hai portato qualcosa del tuo paese di origine nelle tue creazioni?

Io uso molte spezie così come si usa in Polonia. Quando ho usato le prime volte l’aneto o il pimento qui nessuno le conosceva perché forse da queste parti non vengono usate normalmente in cucina.

Quindi molte spezie qui poco usate, qualche ricetta polacca ma anche una bagna della mia terra per il babà. Faccio una bagna con una vodka aromatica tipica del mio paese d’origine, che si caratterizza per il sentore di vaniglia. Viene realizzata con delle erbe tipiche del sud della Polonia e non è completamente trasparente come quelle che vediamo solitamente in commercio. La facciamo arrivare direttamente da lì perché qui non si trova.

Il vostro è un locale a conduzione familiare. I tuoi figli lavorano con te?

Si tutti e due i miei figli lavorano al locale, il grande in sala anche perché lui è celiaco quindi avrebbe problemi con la pizza, il piccolo invece al banco delle pizze già da qualche anno. Frequenta l’ultimo anno della scuola alberghiera ma è già un pizzaiolo a tutti gli effetti, molto bravo nella realizzazione degli impasti.               

Quando io non ci sono per qualsiasi motivo, anche per gli eventi, prende lui il mio posto ma sono tranquilla perché è bravo.

Ormai sa cavarsela anche nelle situazioni più complesse e infatti qualche volta lo porto anche fuori con me però, come gli dico sempre, deve continuare ad imparare, a conoscere e per fortuna ha una grande curiosità che lo guida in questo.

Hai raggiunto risultati eccellenti fino ad oggi. Come ti vedi nei prossimi anni?

Penso in continua crescita perché chi si ferma è perduto.

L’obiettivo è quello di migliorarsi sempre, di continuare a scegliere l’eccellenza dei prodotti, le lunghe lavorazioni degli impasti, l’utilizzo di grani antichi per tornare alle origini.

Credo sia fondamentale andare avanti con mentalità aperta perché non si finisce mai di imparare. Per me, per esempio, fonte di grande soddisfazione e stimolo sono anche i successi dei ragazzi che lavorano e hanno lavorato con me negli anni. Alcuni ormai hanno loro pizzerie, altri lavorano con pizzaioli famosi o sono diventati primi pizzaioli di grandi catene e tutto questo per me è uno stimolo per andare avanti, per crescere sempre di più lasciando un segno del mio percorso anche negli altri. Io credo che un pizzaiolo può essere bravissimo ma da solo non va da nessuna parte, bisogna essere grati verso chi collabora con te.

Ringraziare non costa nulla ma lascia un segno nelle persone, un ricordo positivo. La prepotenza invece ritengo sia controproducente, a lungo andare stanca e soprattutto si rischia di essere ripagati con la stessa moneta. Per questo non smetto mai di dire grazie a chi mi circonda.

Da soli non siamo nessuno, sono gli altri che ti stanno vicino che ti supportano e ti sopportano, quindi senza un buon rapporto con il prossimo non si va molto lontano.

È necessario avere un po’ di umiltà, non essere prime donne, anche se si è già raggiunto il successo.  Credo che in questo la pandemia sia servita a qualcosa perché ho visto tante persone tornare un po’ più umili e alla mano.

A proposito di rapporti con i collaboratori cosa pensi della difficoltà di reperire personale, problema che affligge gran parte dei tuoi colleghi in questo periodo?

Anche noi abbiamo avuto piccoli problemi per questo motivo durante l’estate.

Il nostro personale fisso ha aspettato la fine dei lockdown ed è tornato a lavorare da noi perché tra noi c’è un ottimo rapporto di rispetto ma per molti stagionali è stato diverso. In tanti hanno cambiato lavoro. Chi faceva turni anche di 16 ore in pizzeria e magari nei mesi di pausa ha trovato altri lavori che richiedono non più di 8 ore al giorno, ovviamente non torna a lavorare il doppio nonostante guadagni qualcosa in meno.

Il tuo consiglio per chi, arrivando dall’estero, vuole raggiungere buoni traguardi lavorativi in Italia.

Il mio consiglio per chi viene in Italia è di mettere massimo impegno e massima disponibilità in quello che si fa e avere una mentalità aperta verso qualsiasi opportunità si presenti, senza pregiudizi.

Anche in questo caso sono necessarie umiltà e voglia di imparare, poi piano piano e con qualche sacrificio i risultati si ottengono e questo indipendentemente dal paese in cui vivi.

L’importante è mettersi in gioco lavorando con massimo impegno, come ripeto sempre ai miei figli.

Anna Orlando

Maturità classica, laurea in giurisprudenza, avvocato da oltre 15 anni. L'interesse per la cucina e per il cibo nasce dall'aver osservato in silenzio prima una nonna e poi una mamma ai fornelli. L'essere...

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