Claudio Tramontano, giovane titolare, gestisce un’innovativa enoteca nel quartiere Chiaia di Napoli, imperniata esclusivamente sui vini naturali –

Barcellona, regione della Catalogna, Spagna. Nelle immediate adiacenze del Museo Picasso, una delle principali attrazioni turistiche della città, vi è un bar enoteca, dal nome stentoreo ed evocativo nella sua schiettezza, “Bar Brutal”: allo stesso tempo cantina, bar a vino, e bar a tapas, in pochi anni dalla sua fondazione è divenuta meta imprescindibile per gli appassionati di vini c.d. “naturali”. Claudio Tramontano, trentacinquenne partenopeo, da sempre aduso al buon bere, è rimasto folgorato sulla via per Barcellona, proprio in questo luogo iconico. Dal padre imprenditore ha ereditato la passione per la pesca, mentre dal fratello, chef professionista con prestigiosi tirocini professionali in Londra, l’interesse per la cucina, con la vocazione per la sommelierie a fungere da discrimine, in una logica professionale sinergica.

Il resto è storia recente, l’intrapresa, nell’ambito familiare, dell’attività ristorativa, con la fondazione di Osteria Mediterranea, venti coperti a Mergellina votati alla tradizione, mai di accomodamento, materia prima in grande spolvero, su uno dei lungomare più belli del mondo.

Qualche tempo dopo, nel problematico anno appena trascorso, è la volta dell’inaugurazione di “Puteca”, circa venticinque metri quadri in un locale, con annessi tavolini esterni, abbarbicato sui suggestivi Gradoni Chiaia, vero e proprio capolavoro di urbanistica, eretti nel sedicesimo secolo durante gli anni di reggenza del viceré Don Pedro Alvarez De Toledo, con lo scopo di collegare la città bassa con la nascente collina del Vomero.

Oltre centocinquanta le referenze disponibili, in un’enoteca – bar-a-vin- preferisce definirla il titolare – che ha come sostrato d’elezione quello di essere dedicato, come dicevamo, esclusivamente ai vini “naturali” da agricoltura biologica e bio-dinamica, in puro stile “Brutal”, con un’offerta gastronomica di accompagnamento, in una sorta di rovesciamento ideale dei tradizionali canoni di pairing.

Il dibattito sulla definizione e natura del vino “naturale” è lungo e complesso, sostanzialmente, senza alcuna pretesa di sintesi scientifica – e in carenza di disciplinare omogeneo legislativo – potremmo definirlo come un prodotto realizzato a partire da uve biologiche, mediante fermentazione spontanea del mosto, senza aggiunta di altre sostanze in cantina, vietando il ricorso a procedimenti invasivi.

Insomma vini di terroir, realizzati nel massimo rispetto della vigna e dell’uva, quasi nella totalità non stabilizzati e non filtrati, selezionati personalmente dalla competenza e passione di Claudio, con un buon risalto ai prodotti regionali campani, seppure estesi all’intero circuito europeo, con numerose incursioni, a mo’ di omaggio, alla penisola iberica, luogo d’elezione putativa.

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Incontriamo il titolare, all’interno della propria bottega, in un mite pomeriggio feriale sul declinare di un piovoso inverno, impegnato nella sistemazione dell’estesa cantina, i riverberi del tramonto si riflettono sulle vetrine dei negozi adiacenti, i passanti si affastellano, incuranti degli imminenti costringimenti derivanti dalle propaggini della pandemia sanitaria ancora in corso.

Chiaro l’obiettivo del locale, come emerge anche dalla parole di Claudio, modi cortese e affabili dietro un bancone, dominato da amplificatori musicali e suppellettili pop, scaffalature ordinate ricolme di referenze e di libri dedicati ai vini naturali, ovverosia quello di promuovere la cultura del vino, anche in maniera eterodossa, al di fuori di logiche settarie e di convenzioni gustative.

L’idea è quella, dunque, di imporsi come luogo in cui la centralità dell’offerta sia dominata dal vino, a partire dal calice più duttile, sino alla referenze più qualificate, avvalendosi anche del coravin per l’estrazione del singolo calice, con un forte accento sul momento conviviale e comunicativo della fruizione del prodotto, e l’ambizione di arrivare a degli abbinamenti formalizzati, in una logica di interazione con il ristorante di famiglia.

Passando analiticamente all’offerta, si va da referenze regionali, come la “Cantina di Enza” con il suo Coda di Volpe Rosso, l’irriverente “Canlibero” di Ennio Cecaro, alla non lontana “Poderi Venere Vecchio” di Castelvenere, passando per i grandi nomi nazionali come Lino Maga con il suo Cru “Vigna Barbacarlo”, al Teroldego Vigna delle Dolomiti I.G.P. di Foradori – di cui assaggiamo lo straordinario “Sgarzon” 2018 – sino agli outsider metodo classico portoghese “Filipa Pato”, blend di varietà autoctone, ed infine del fuoriclasse d’oltralpe champagne Charles Dufour “Stilleben – Bulles de Comptor” dell’annata 2017.

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Incisiva anche l’offerta gastronomica, sebbene trattasi di cucina “di appoggio” e piccola delicatessen, con tapas – anzi “cicchetti”, secondo la definizione prediletta dal titolare – costituite da selezione di formaggi dop come provolone del monaco, pecorino di carmasciano, erborinati, bruschette guarnite, senza disdegnare conserve di verdure di stagione (notabili i pomodorini calabresi essiccati) e piccolo cantuccio dedicato alla miscelazione.

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Carlo Straface

Carlo Straface, partenopeo di nascita, corso di studi in giurisprudenza, di professione avvocato e giornalista pubblicista, eno-gastronomia e letteratura le sue coordinate di riferimento. Sommelier di...

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