Ho approfittato della pausa estiva per scappare oltralpe: una breve tappa a Parigi, nel mese di luglio, mi ha permesso di respirare aria nuova, dopo i mesi di lockdown chiusi in casa e visitare l’Atelier Saint-Germain.

Nei progetti su cui fantasticavo nel periodo di stallo, anche per evadere dai pensieri negativi, c’era quello di poter passeggiare per i viali alberati di Parigi, soffrendo il caldo ma tornando a sentirmi libera di viaggiare, conoscendo meglio il posto attraverso quanto di più gustoso possa offrire.

Così, nel mio breve itinerario di viaggio, avevo previsto di vivere un’esperienza nuova. Per questo, una volta giunta nella Ville Lumière, mi sono diretta nel cuore del quartiere di Saint Germain-des-Près, sulla Rive Gauche e a pochi passi dal Museo d’Orsay.

Qui, al civico 5 di rue de Montalembert, immersa nella frenesia della città, si trova l’Atelier Saint-Germain, uno dei paradisi gastronomici dello Chef Joël Robuchon, scomparso nel 2018.

Al timone della cucina, ci sono Axel Manes, allievo di Robuchon, e Attilio Marrazzo. Nelle loro mani, il futuro del concetto di gastronomia portato avanti dall’ideatore del ristorante, considerato con le sue 32 stelle Michelin il cuoco più “stellato” del mondo.

Un’eredità pesante, quella sulle spalle di Manes e Marrazzo, ma che dimostrano nonostante la loro giovane età di essersi fatti trovare più che pronti.

“Mai più di quattro ingredienti in un piatto”, ripeteva Robuchon, svelando che la chiave per i suoi piatti apprezzati era da ricercare in un ingrediente più unico che raro: la semplicità.

Una volta a tavola, sono solo il menu e le pietanze a parlare di sé. Con una portata di benvenuto, si apre la mia esperienza in uno dei luoghi culto della gastronomia parigina.

Mi concentro sugli antipasti. Ordino un gazpacho alla catalana, impreziosito da un sorbetto a base di senape, alla vecchia maniera. Passo poco dopo al salmone, servito in tataki, accompagnato da una vinaigrette al wasabi e impreziosita dal profumo dello yuzu, che denota un deciso tono agrumato al piatto. Infine, mi gusto sino alla fine l’ultimo antipasto ordinato, a base di calamari e carciofi fritti, una goduria per il palato, sollecitato dal piatto tanto se non quanto dal puré di patate, cremoso e burroso come mai assaggiato prima.

A chiudere l’esperienza parigina, un dolce, la tentazione al cioccolato: una ganache al cioccolato Araguani, glassa alla fava di cacao e biscotto Oreo. Come se non bastasse, agli ospiti vengono serviti dei cioccolatini al mou prodotti dalla cucina, accompagnati da un paio di madeleine.

Il conto, che include una bottiglia d’acqua e un calice di Champagne Langlet, si attesta sui 109 euro. Una cifra non particolarmente esagerata per entrare in punta di piedi nel mondo delle cucine stellate e assaporarne le proposte e i segreti nascosti.

Francesca Favia

Viaggiatrice compulsiva, Esperta Economia Circolare , Storyteller e promotrice delle gastronomia sostenibile e free cruelty

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