Il ministro Patuanelli: “Candidiamo il caffè di Napoli e Venezia per l’Italia.”

La candidatura, ci ha tenuto a precisare il Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, nasce da un percorso virtuoso che rappresenta il voler superare le differenze: due candidature differenti, ma che si uniscono per raggiungere la meta, per il riconoscimento del valore del caffè espresso italiano, come patrimonio immateriale dell’ Unesco.

Risultato raggiunto senza grande fatica per costruire un prodotto di ottima qualità. Di fatto riconoscono il valore della tazzina di caffè a tutte le latitudini del Paese. La candidatura <il caffè espresso italiano tra cultura, rito, socialità e letteratura nelle comunità da Venezia a Napoli>, deriva dall’unione di due antecedenti dossier: “il rito e l’arte del caffè espresso italiano”, desiderato dal Consorzio di tutela del caffè espresso italiano tradizionale, e “la cultura del caffè napoletano fra rito e socialità”, proposto dalla comunità napoletana con il patrocinio della Regione Campania.

Sulla proposta di candidatura ai fini dell’invio all’Unesco, si pronuncerà la Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco, il 29 marzo prossimo, che la invierà poi a Parigi per il vaglio definitivo.

Il 26 marzo, giornata nazionale del “Rito del caffè espresso italiano”, partirà la sottoscrizione pubblica per sostenere la candidatura. È uno di quei momenti importanti per l’Italia perché si riesce a far capire quali sono le nostre eccellenze e proporle alle comunità internazionali con assoluta credibilità.

Il sottosegretario con delega all’Unesco Gian Marco Centinaio dichiara: “il caffè per noi non è solo un prodotto, è qualcosa che unisce l’Italia”. Il caffè espresso italiano è simbolo dello stile di vita di un Paese e di una comunità.

Attorno al rito della tazzina da consumare al bancone o al tavolino, è nato e cresciuto il Bar Italiano come lo conosciamo oggi. Tavolini studiati apposta per condividere la bevanda con un amico/a, per stipulare un’affare o sviluppare idee. Di tutto questo, il mondo si è innamorato, provando a copiarlo senza alcun successo.

Il riconoscimento, per la Campania, sarebbe il terzo alloro dopo la Pizza e la Dieta Mediterranea. Durante la conferenza stampa le comunità di Torino, Milano, Venezia, Trieste, Bologna, Roma, Napoli, Lecce, Pescara, Palermo e Modica hanno sottoscritto “la carta dei Valori del Rito dell’Espresso Italiano”, che elenca i valori del caffè, degni di essere condivisi con tutta la comunità, attraverso l’iscrizione del caffè espresso italiano nella lista rappresentativa.

Da Troisi alla gag di Totò: la storia della “tazzulella” tra musica e film cult.

La parola è di origine araba, ma la pianta è Etiope. In Europa arriva prima a Vienna. In Italia viene portata dai Veneziani. Ma alla fine il caffè è napoletano. Ce lo siamo davvero incollati addosso, il romanzo popolare del caffè. Inserendolo così profondamente nelle abitudini, nel quotidiano, nei movimenti, nella letteratura, nel cinema, tanto che ogni volta che si usa la parola caffè si associa immediatamente Napoli.

Non c’è bevanda senza rito. E non c’è quest’ultimo senza la sua città.

Addirittura questo intruglio, sembrava portare male, nessuno lo voleva perché di colore nero.

Dall’Ottocento la Cuccuma entra in tutte le case. Ma pure lei, anche se detta “napoletana”, ha origine altrove, venne infatti inventata da un francese. Tutto viene mescolato all’interno della cultura popolare, perché non è dove nasce, ma come vive un rito, e qui da noi esplode.

Inserita anche nella smorfia napoletana al numero 42.

Nei vicoli di Napoli, si invita tutti ad entrare, “vieni metto il caffè a fare”: la prima cosa che si sente quando si bussa alla porta.

Durante una giornata di lavoro la frase che più si percepisce è, “scendiamo a prendere un caffè”, quello che ti fa tirare il fiato. Prima un bicchiere d’acqua,mi raccomando.

Il caffè per scambiare due chiacchere, per chiarirsi, per fare pace, per il primo appuntamento… Il famoso oggi, caffè sospeso lasciato pagato al bar, per coloro che non se lo possono permettere.

La tradizione napoletana vuole che il caffè, con lo zucchero, sia il regalo da portare a chi ha subito un lutto, come segno di “consolazione” per un risveglio al mattino non troppo amaro.

Come non ricordare l’ingegnere ” ‘o professor ” De Crescenzo, con il suo storico quesito: “vi siete mai chiesti che cos’è un caffè? Un caffè è una scusa per dire ad un amico che gli vuoi bene”.

Ancora con Totò, Peppino de Filippo, Eduardo de Filippo, Nino Manfredi. Oppure con la musica di Don Raffaé: Ah, che bell’ ‘o cafè, Pure in carcere ‘o sanno fa Co’ a ricetta ch’a Ciccirinella Compagno di cella, c’ha dato mammà” di Fabrizio De André.

Per finire non si può non citare Pino Daniele e Massimo Troisi, che con “Na’ tazzulella ‘e cafè”, citava: “Na’ tazzulella e’ cafè e mai niente cè fanno sapè, Nui cè puzzammo e famme, o sanno tutte quante, e invece e c’aiutà c’abboffano e’ cafè.

Allora noi incrociamo le dita, e auguriamo buon caffè a tutti.

Brunella La Salvia

Sono un Assistente Sociale professionale, ma anche un insegnate abilitata per la scuola Infanzia e Primaria. Poi un giorno a furia di uscire e bere e mangiare fuori con gli amici e disquisire sui piatti...

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