Ma avevamo davvero bisogno dell’ennesima Falanghina?

Nei Campi Flegrei è arrivata una nuova etichetta: la Falanghina Santa Chiara. Un debutto che ha già fatto parlare, presentato in anteprima al Monteruscello Fest e legato a una storia che intreccia vigne, memoria e solidarietà.

Il nome richiama la Torre Santa Chiara, costruita nel XVI secolo e per secoli proprietà delle Clarisse di Napoli. Un omaggio al passato, dunque, ma anche un messaggio di futuro, visto che il vigneto è stato recuperato proprio all’interno del progetto europeo MAC – Monteruscello Agro City, che punta a restituire dignità agricola e sociale a un quartiere nato dal bradisismo del 1983.


Vigna e cantina: poche bottiglie, tanta attenzione

La vigna madre, poco più che trentenne, è stata recuperata da un antico vigneto a piede franco, un patrimonio raro che nei Campi Flegrei resiste come segno di identità viticola. Accanto a essa, un nuovo impianto a Guyot di circa 6 anni che completa la superficie vitata.

Nel 2024, grazie a grappoli sani e maturi, si è potuto vendemmiare quasi a fine ottobre, in una vendemmia tardiva che ha regalato 2.660 bottiglie numerate e 150 magnum.

Il lavoro in cantina porta la firma dell’enologo Francesco Moriano, con un percorso che privilegia freschezza e autenticità: 80% affinamento in acciaio, 20% in botti di acacia non tostate, giusto per dare respiro e struttura senza alterare il profilo varietale.

Un approccio semplice, ma non banale. Perché se è vero che di Falanghine se ne producono tante, questa nasce con l’idea di rappresentare un progetto di territorio.


Santa Chiara nel calice

Nel bicchiere Santa Chiara 2024 è brillante e pulita, immediata nel suo invito all’assaggio.
Si ritrovano note di frutta bianca, un accenno di mandorla fresca e un tratto vegetale che porta con sé il carattere flegreo.

Il sorso è fresco, sapido, agile. Non punta a essere un vino complesso, ma piuttosto diretto, elegante nella sua semplicità. È una Falanghina che oggi si lascia bere con leggerezza, ma che con più tempo in bottiglia potrebbe rivelare una personalità ancora più definita.

Gli abbinamenti

Un vino così chiaro nel messaggio si sposa con piatti altrettanto schietti:

  • crudi di mare e tartare di pesce bianco,
  • il tatiello, pasta al forno tipica flegrea,
  • una zuppetta di cicerchie flegree,
  • formaggi freschi e caprini delicati.

Una voce dal territorio

A sottolineare il valore di Santa Chiara non è solo chi lo ha prodotto, ma anche chi lo vive e lo racconta ogni giorno.
Serena Iammarino, sommelier e direttrice di sala del rinomato Punto Nave di Monteruscello, oltre che parte dell’organizzazione del Monteruscello Fest, definisce così questa nuova Falanghina:

“Per me non è soltanto un vino, ma un progetto importante legato alla valorizzazione del territorio. Giovanni e Susi Tammaro sono amici, prima ancora che produttori, e mi hanno spesso coinvolta chiedendomi un parere. Questa fiducia mi ha fatto capire quanto Santa Chiara sia un atto di identità e di comunità. È un vino che racconta radici, persone e resilienza: una nuova storia, anzi un nuovo capitolo da scrivere per i Campi Flegrei.”

Dal punto di vista sensoriale, Serena aggiunge:

“È una Falanghina autentica: profumi di fiori bianchi e agrumi, un sorso fresco, minerale, immediato. Ma ciò che la rende diversa è il messaggio che porta con sé: resistenza, rinascita e la forza di un territorio che vuole riemergere.”


Monteruscello Fest: tra vino e solidarietà

La presentazione di Santa Chiara al Monteruscello Fest non è stata casuale. L’evento, nato per valorizzare le eccellenze flegree, ha sempre un risvolto benefico: quest’anno ha rinnovato il sostegno a Telethon e ha raccolto fondi per un’incubatrice portatile destinata all’Ospedale Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli.

In questo senso, la Falanghina Santa Chiara diventa molto più di un vino: è il simbolo di un quartiere che prova a rinascere, di una comunità che si ricostruisce anche attraverso l’agricoltura e la solidarietà.


L’ennesima Falanghina o qualcosa di più?

E qui torniamo alla domanda iniziale: avevamo davvero bisogno di un’altra Falanghina?
Forse sì, forse no. Dipende da come la guardiamo.

Se pensiamo ai numeri, probabilmente no: la Falanghina è ormai ovunque, protagonista di decine di etichette flegree e non solo.
Ma se la guardiamo come segno di identità, di recupero agricolo, di rinascita urbana e di comunità, allora sì: Santa Chiara ha un senso profondo.

E a questo punto la risposta la lascio a voi, lettori e degustatori. Nel calice c’è il vino, ma anche una storia. Sarete voi a decidere se basti una nuova Falanghina per brindare al futuro dei Campi Flegrei.

https://www.foodmakers.it/la-cozza-di-bacoli-esiste-o-e-leggenda/

https://www.telethon.it

https://uia-initiative.eu

Adele Munaretto

Salernitana di nascita ma Flegrea di adozione, Logopedista proprietaria e coordinatrice di un centro di riabilitazione del linguaggio per bambini; dopo i trent'anni si avvicina al mondo del vino e della...

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