Antonio Biafora, classe 1985, rappresenta la terza generazione di una famiglia che da quasi mezzo secolo propone cucina e accoglienza di qualità al Biafora Resort & Spa sulla Sila, un territorio fertile e ricco di materie prime diverse e interessantissime.

Nel 2020, a San Giovanni in Fiore (siamo in provincia di Cosenza), Biafora è diventato chef patron del ristorante Hyle, un progetto di ristorazione “ambizioso”, come lo definisce lui stesso.

Nonostante la ridotta apertura causata dall’emergenza epidemiologica ancora in corso, Hyle non è passato inosservato. Recentemente, infatti, Antonio Biafora ha ricevuto il premio Sorpresa dell’Anno dalla distilleria Bonaventura Maschio in occasione della presentazione dell’edizione 2021 della Guida Identità Golose.

Lo abbiamo intervistato…buona lettura! 

Biafora, Lei è stato designato come lo “Chef sorpresa dell’anno” dalla Guida 2021 di Identità Golose. Ci avrebbe mai scommesso? 

Assolutamente no. Sono cosciente che Hyle sia nato come un progetto ambizioso. Ma non credevo che in così poco tempo saremmo riusciti a ottenere un così bel risultato, anche perché in un anno pandemico la reale apertura è stata davvero poca.

Hyle è stato inaugurato all’inizio del 2020, poco prima della pandemia. Effettivamente, quante settimane di “normalità” ha vissuto? In partenza che tipo di feedback si è avuto dal pubblico?

Hyle ha aperto il 10 Gennaio 2020. Il 9 marzo è stato l’ultimo servizio “senza mascherine”, quindi fondamentalmente soli due mesi di reale normalità. Questo lasso di tempo è stato oltre le nostre aspettative sia in termini di qualità che di quantità di clienti. Certamente l’effetto novità ha aiutato tanto, ma gennaio e febbraio non sono mai stati mesi di “altissima stagione” come invece si sono dimostrati.

Perché ha deciso di puntare su un ristorante con…quattro tavoli? 

Il progetto Hyle vuole essere un anello di congiunzione, senza barriere, tra produttore/esecutore/consumatore. Per questo motivo la sala è completamente costruita in cucina, senza barriere di divisione. Sono direttamente i cuochi che effettuano il servizio a tavola. Pertanto lo storytelling è alla base dell’esperienza, che non sarebbe così ben curato con un numero maggiore di tavoli.

Il locale si trova nel cuore della Sila, all’interno del “Biafora Resort e Spa”. Ci racconta brevemente la storia di questo storico hotel che appartiene alla Sua famiglia? 

Non è facile raccontare brevemente cinquanta anni di attività e tre generazioni.

Sintetizzando dei punti chiave possiamo dire che nasce come locanda per ristorare la grande quantità di lavoratori del progetto di rimboschimento della Sila negli anni ’70 con i miei nonni e la collaborazione di mio padre. Ogni sforzo della famiglia era re-investito nell’attività che comincia a essere sempre più grande e di anno in anno crescere sia strutturalmente, con l’inserimento delle camere, che come brand.

Il cambio definitivo di passo si ha sul finire degli anni ’90, quando papà rileva simbolicamente l’attività e le ristrutturazioni che non si sono mai fermate sono mirate a migliorare il servizio offerto, costruendo una grande spa con due piscine all’interno, spalleggiato da me e mio fratello.

Attualmente il progetto non è ancora definitivo, perché l’obbiettivo è quello di creare un resort autosufficiente e soprattutto in grado di ritagliarsi un target di mercato più alto e riuscirne a soddisfare le esigenze.

Il concept di Hyle comprende un percorso territoriale, rappresentato dalla riscoperta della “via della pece”. Per chi non la conosce, cos’è la pece e in che modo entra in gioco nella Sua idea di cucina? 

La pece è la resina estratta dai tronchi dei pini larici della Sila. Fino agli anni ’60 – ’70, era una grande fonte di sostentamento economico per via dei vari utilizzi fatti, tanto che in alcuni punti della storia del territorio era quasi più importante, e sicuramente più preziosa, del legno stesso. Infatti in alcuni scritti di Strabone si identifica una “via della pece”, dove venivano indicati i forni per l’estrazione della stessa.

Abbiamo ripreso “la via della pece” come simbolo di cammino attraverso la Sila più profonda, come una “via della seta”. All’interno dei nostri menù degustazione è sempre presente almeno un piatto/elemento che richiama il concetto della resina, nell’ultimo menù ad esempio abbiamo inserito il miele di pigna, ovvero un estratto di resina dalle pigne verdi, lasciate a fermentare per circa un anno.

Quanto è soddisfatto del processo di sostenibilità sociale attivato in Calabria?

Dipende dal punto di vista. Se penso a dieci-quindici anni fa mi rendo conto che il cammino è stato intrapreso su tutti i fronti, culturale/sociale/ecologico. Se guardo il resto del mondo mi rendo conte che il cammino è ancora lungo da percorrere.

Quanti sono i percorsi di degustazione proposti all’interno di Hyle? 

Abbiamo due menù degustazione, per capire la filosofia del ristorante, Puzaly (dal greco resinoso) di 7 portate e Chjubica (la vecchia strada che collegava la costa Tirrenica con quella Ionica tagliando a metà la Sila) di 11 portate.

Che varietà di etichette si trovano nella cantina del Suo ristorante?

Attualmente siamo intorno alle 480 etichette tra vini, champagne e sakè, che superano le 500 se aggiungiamo i distillati. Metà delle quali sono di origine calabresi, mentre l’altra metà raccontano grandi cantine nazionali e internazionali o piccole realtà che hanno catturato la nostra attenzione durante il processo di ricerca.

Quali sono state le esperienze più formative che hanno strutturato il Suo bagaglio tecnico?

La mia formazione, il mio modo di pensare sono stati forgiati da tutte le esperienze che ho fatto. Ma, oltre alla formazione universitaria e alla formazione sul campo “in sala”, sicuramente l’Alma mi ha dato tanto dal punto di vista formativo. Anche le altre esperienze stellate tra l’Italia e il resto mi hanno lasciato profondi insegnamenti, non solo professionali, ma anche umani e una chiave critica di rilettura del mio territorio. Ma non posso non citare tutti i rapporti professionali sul territorio con cui giornalmente mi confronto.

Ci sono personalità che hanno influenzato il Suo percorso?

In realtà mi faccio influenzare da tutti, dalla grande personalità alla singola persona che incrocia il mio cammino. Chiunque può lasciarti qualcosa o quanto meno farti riflettere su qualcosa.

Da marzo 2020 a oggi, il Suo ristorante ha potuto aiutarsi con una distribuzione tramite shop online? 

Non abbiamo abbracciato la moda del delivery, non avrebbe avuto senso in un piccolo centro di montagna lontano dalla città. Abbiamo costruito uno shop online, che resterà aperto anche dopo la pandemia, dove abbiamo messo in rete la nostra cantina, le nostre conserve, nonché prodotti di pasticceria, panificazione e pasta fresca, nonché una vasta scelta di  pacchetti “regalo”.

Antonio, al momento come si sta organizzando e cosa accadrà, secondo Lei, nella ristorazione da qui ai prossimi mesi?

Come azienda continuiamo verso il nostro progetto, ben delineato prima della pandemia, che resta ancora attualissimo. La pandemia amplificherà la necessità di avere una ristorazione ancora più sostenibile, più radicata alla propria identità territoriale e soprattutto più autosufficiente, più ponderata nel rapporto spesa/beneficio.

Pietro Bruno

Classe 1994, laureato in “Media, comunicazione digitale e giornalismo” presso la Sapienza Università di Roma. Nel 2017 ho pubblicato il mio primo saggio “È il tempo della radio in TV” (Guida),...

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