Situata a Via Pietravalle, “Antonio la trippa” è una trattoria che è stata per me, in un periodo non tanto felice, un porto sicuro in cui rifugiarmi. Bastava sedermi al tavolo e guardarmi intorno per viaggiare nel tempo e atterrare nel passato, precisamente a casa di nonna. E “Antonio la trippa” è la riproduzione fedele della casa di nonna”: calda, accogliente, rassicurante. Sulle pareti le trecce d’aglio e i peperoncini; il telefono in bachelite nero e la Rolley; sulla tavola il vino con la gassosa rigorosamente Arnone, l’idrolitina da versare nell’acqua, e la genovese servita nel tegame con il canovaccio attorno.

Nonostante la posizione “periferica” il locale è sempre pieno, sia di giorno che di sera: conta all’incirca 200mila persone all’anno. Ed è anche tappa fissa di tutti (o quasi) i personaggi famosi che soggiornano nella nostra città.

Il proprietario è Pino Bozza, quarant’anni compiuti da poco. Professionale e affabile con i clienti in trattoria, un gran provocatore sui social. Ed è stato questo suo modo di porsi nel web tronfio e a tratti irritante, insieme con la curiosità di conoscere il successo del suo locale che mi ha spinto ad intervistarlo.

Parliamo un po’ di te: Pino Bozza nasce come pizzaiolo…

Pino Bozza nasce come porta pizze: mio padre mi prestò 800 mila lire per comprarmi il motorino così da poter andare a consegnare le pizze. Guadagnavo mille lire a consegna, e ben presto mi resi conto che non sarei riuscito a saldare il debito con mio padre. Per cui chiesi a Rino Adamo, all’epoca il mio datore di lavoro, di cambiarmi mansione per cercare di guadagnare di più. Mio padre era carrozziere, mia madre stirava in una lavanderia: era necessario che mi dessi da fare anche io. Così cominciai a fare il cameriere, poi imparai ad infornare le pizze e poi sono diventato il più bravo pizzaiolo di Napoli, nonché il suo braccio destro.

Ora, commercialmente parlando, ci vogliamo uccidere, ma Rino è stato per me un mito, un papà, un fratello, un mio punto di riferimento. Mi ha salvato in tante occasioni: una volta capitò che rimasi senza soldi per comprare il latte a mio figlio, e lui mi regalò 1000 euro. Questo gesto non me lo scorderò mai, non sai ora che darei per dargli un bacio. 

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Come nasce “Antonio la trippa”?

Un colpo di fortuna. Gestivo la pizzeria di Rino con un contratto che mi rinnovava di anno in anno, ma nel Dicembre 2011 decise di vendere il locale. Pochi giorni dopo seppi che la banca, che stava dove sta ora “Antonio la trippa”, chiudeva i battenti. Firmai subito il contratto di fitto di 3mila euro al mese per ogni locale (questo però l’ho scoperto dopo: credevo che i 3mila euro fossero totali. per cui in pratica rimasi un’altra volta senza soldi).

Ti aspettavi tutto questo successo in questa zona non proprio centrale?

Io dove vado lì faccio soldi. Sono fogli di carta, non so come la gente non riesca a farne tanti!

Quindi, durante la tua carriera di ristoratore, non c’è mai stato un momento di difficoltà?

Un solo locale può distruggere un mio locale: un altro mio locale poi nessuno più. E’ successo con Frittole 1492 quasi 1500, un locale dedicato a Massimo Troisi. Quello che un tavolo di “Antonio la trippa” mi da in 10 minuti io lo incassavo di Sabato sera con “Frittole”. Per cui, il mio socio ed io, decidemmo di chiudere.

Progetti in corso?

  • L’apertura di un ristorante a Malta: lì c’è un nostro punto di riferimento che, tra l’altro, si prende il 10%, ma non ho ancora capito perché.
  • Entrare a far parte di una holding di servizi siciliana che gestisce alberghi, ospedali e quant’altro che non comprende ancora la ristorazione: parliamo di ventisettemila pasti al giorno.
  • E poi sarò l’unico punto food in una città in miniatura che sta nascendo a Via Terracina:  sono settantamila mq di verde, ci sarà di tutto: dai campi da tennis al maneggio, una fattoria didattica, area picnic e anche una chiesa.

Non mi hai più detto il perché del naming “Antonio la trippa”. Conosciamo tutti il film di Totò, ma perché hai scelto proprio quel personaggio?

E’ un segreto. Se vuoi posso dirlo solo a te, ma deve restare tra noi.

Allora una provocazione: sei una persona rispettata da tutti. E’ un rispetto figlio della paura o figlio dell’amore?

Facciamo così: lo chiedo io a te, poi vai a mangiarti la genovese che tanto ti piace.

“Sono rispettato perché mi temono o perché mi amano?”

“Sì!”

 

 

Redazione Foodmakers

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